Quella che era cominciata come una guerra finanziaria tesa a mettere in ginocchio la Russia ha fatto scoppiare la bolla dei prezzi del petrolio e potrebbe diventare il detonatore del meltdown finanziario globale, come lo fu la crisi dei subprime per il sistema globale nel 2007. Un’ondata di insolvenze del debito legato al settore energetico potrebbe infatti scatenare una ben più vasta ondata di insolvenze nei mercati del debito ad alto rendimento, che rappresenta un paio di migliaia di miliardi di dollari ad alta leva.


 

Gli economisti filo-establishment negano il pericolo, paragonando le dimensioni delle due bolle (quella dei subprime era cinque volte più grande), ma gli analisti più competenti indicano diversi elementi che concorrono ad un quadro di potenziale contagio:


  1. Le perdite dei produttori di petrolio;

  2. Le perdite delle banche esposte verso il mercato petrolifero, fortemente indebitato;

  3. Le perdite sul mercato dei derivati sull’energia, che ammonta a 4 mila miliardi di dollari;

  4. Le perdite sui Credit Default Swaps (CDS) contro il rischio di insolvenza del mercato energetico;

  5. La circolazione di “prodotti strutturati” contenenti quei CDS.

La prima ondata sta già colpendo i produttori americani di shale oil, che necessitano di un prezzo al barile di Brent tra gli 80-85 e i 120 dollari per poter pagare i debiti. Il prezzo attuale è sotto i 60 dollari. Se rimane in questa fascia, l’industria petrolifera incasserà meno di 400 miliardi di ricavi a fronte di un debito totale di milleseicento miliardi.


Tuttavia, se questa ondata ne innescherà una più ampia potrebbe essere deciso dal mercato dei derivati sulle commodities, esposto per ventimila miliardi.


L’analista Peter Lewis ha ammonito, in una lettera al Financial Times il 18 dicembre, che ai prezzi petroliferi attuali l’insolvenza di un terzo dei borrowers energetici ad alto rendimento potrebbe produrre una perdita di 135 miliardi per le banche che hanno venduto CDS.


Sembrerebbero “peanuts” nell’oceano della finanza derivata, ma ricordiamo che il gigante assicurativo americano AIG affondò nel 2007 su undici miliardi di perdite da CDS sui titoli immobiliari subprime, e fu salvata con 85 miliardi della Fed e 150 miliardi del governo sganciati sull’unghia.


Ma non finisce qui: ci sono anche altri prodotti derivati, come i “prodotti strutturati”, titoli che contengono, tra gli altri, anche i CDS più svariati, tra cui quelli energetici.


Inoltre, ammonisce ancora Lewis, “l’aumento della volatilità dei derivati sulle commodities di solito si trasmette ad altre classi di titoli e causa perdite sui derivati sui tassi d’interesse (dove le banche USA sono esposte per 192 mila miliardi di dollari) e sui cambi (31 mila miliardi). Le perdite in un segmento del mercato potrebbero diventare contagiose a causa degli intrecci finanziari”.


Un’ultima osservazione. L’abrogazione dell’emendamento Lincoln alla legge Dodd-Frank (cfr. EIR Strategic Alert 14/51-52) ha assicurato che i derivati sulle commodities ora saranno protetti dal Fondo di Garanzia dei Depositi (FDIC). Ciò significa che le perdite sui derivati energetici saranno pagati dal contribuente o, in caso di bail-in, dai risparmiatori.