Quando, il 9 settembre, si aprirà la sessione annuale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA), non ci sarà questione più urgente della richiesta di un intervento contro il massacro di civili palestinesi a Gaza e in Cisgiordania da parte del governo di Netanyahu. Le proteste crescenti, anche in Israele, e l’opposizione a ulteriori aiuti anche all’interno del Congresso degli Stati Uniti, creano lo slancio per convocare una sessione straordinaria e far passare un voto sotto l’egida della legge Uniting for Peace, che darebbe all’UNGA il potere di adottare misure di emergenza per salvare vite umane, superando il veto degli Stati Uniti nel Consiglio di Sicurezza.
La risoluzione approvata dall’Associazione Internazionale degli Studiosi del Genocidio alla vigilia della riunione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (https://genocidescholars.org/wp-content/uploads/2025/08/IAGS-Resolution-on-Gaza-FINAL.pdf), che accusa Israele di genocidio e crimini di guerra, come anche la distruzione da parte delle squadre di artificieri dell’IDF di quattro grattacieli nella città di Gaza negli ultimi quattro giorni, si aggiungono alle ragioni per agire.
Alla vigilia della sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente Trump ha annunciato una nuova proposta per porre fine ai combattimenti. Il Canale 12 in Israele riferisce che il piano prevede il ritorno di tutti gli ostaggi rimasti, vivi e morti, il primo giorno del cessate il fuoco, la fine dell’operazione militare di Israele a Gaza City e i negoziati per un cessate il fuoco permanente. Trump ha accompagnato la proposta con minacce e Netanyahu ha detto di ritenere che Hamas rifiuterà il piano. E per assicurarsi che fosse così ha bombardato il Qatar, ed i negoziatori per la pace, molto probabilmente con il via libera degli Stati Uniti, cosa gravissima. A complicare ulteriormente la situazione è la decisione dell’amministrazione Trump di revocare i visti a oltre ottanta palestinesi, tra cui il presidente Abbas, impedendo loro di partecipare alle deliberazioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
In un autorevole editoriale, Haaretz ha criticato il piano, poiché incentrato sull’idea di “trasferimento della popolazione”, che descrive come un’‘illusione’, aggiungendo che “l’espulsione di due milioni di persone non è un piano, è un crimine di guerra”. Come a confermare lo scetticismo dell’editoriale, Netanyahu ha attaccato l’Egitto per non aver accettato i rifugiati palestinesi cacciati con la forza da Gaza. Si è descritto con arroganza come un difensore del “libero arbitrio” dei palestinesi di scegliere dove vivere. “È un diritto umano fondamentale”, ha affermato, ben sapendo che la scelta che offre ai palestinesi è quella di morire di fame o sotto il fuoco dell’IDF, oppure di lasciare le loro case per sempre.
Un ulteriore segno dell’intenzione degli estremisti sionisti di aumentare la pressione per cacciare i civili palestinesi è la nomina da parte di Netanyahu del generale David Zini a capo del servizio di sicurezza interna Shin Bet. Secondo il giornalista di Haaretz Gideon Levy, Zini è “il delirante figlio messianico di un padre messianico”, che considera i palestinesi dei nemici e la guerra contro di loro “eterna”. Levy descrive le credenze messianiche di Zini e di altri fanatici del Grande Israele come “una miscela di fede religiosa ardente e folle prepotenza ultranazionalista [che] crea un fascismo sfrenato; persone come Zini farebbero qualsiasi cosa in nome di questi due elementi”.
“Ma lo scopo dello Shin Bet”, conclude Levy, “è quello di consolidare l’occupazione [militare], l’apartheid, l’espulsione e la ‘giudaizzazione’ attraverso interrogatori, rapimenti di massa (qui chiamati ‘detenzione’), estorsioni e omicidi; e chi è più adatto di Zini per questo lavoro?”
Data la determinazione dei sionisti più intransigenti a raggiungere una “soluzione finale” al problema palestinese, la voce di un esercito crescente di manifestanti deve essere ascoltata dai diplomatici dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La Maggioranza Globale si sta già muovendo per porre fine al genocidio nell’Asia sud-occidentale. Ora è il turno dei cittadini del Nord del mondo. (Nella foto Francesca Albanese, relatrice dell’ONU su Gaza, colpita da gravi sanzioni americane).