I due vistosi attacchi contro il Presidente Trump la scorsa settimana dimostrano che i suoi avversari sono determinati a usare le elezioni di medio termine per destituirlo, prima che egli smantelli l’ordine postbellico che essi cercano affannosamente di difendere. La fanfara attorno alle anticipazioni del nuovo libro di Bob Woodward (Fear: Trump in the White House) è stata amplificata dalla simultanea pubblicazione sul New York Times di un editoriale scritto da un presunto “alto funzionario dell’Amministrazione”. Assieme, i due dipingono un ritratto della Casa Bianca nel caos, con un Presidente incompetente, ignorante e inaffidabile, circondato da una manciata di funzionari che si considerano “eroi sconosciuti” che cercano di salvare il Paese dal suo comportamento irrazionale. Ciò tende ad aiutare i democratici nel tentativo di riconquistare la Camera a novembre, in modo da poter iniziare le procedure di impeachment contro Trump, e a sostenere le reti neocon tra i repubblicani (i bushiani e la fazione “giammai Trump”) che vogliono riprendere il controllo sul partito.

Non conta che dopo due anni di inchiesta sulle “interferenze russe e la collusione di Trump” nelle elezioni del 2016, inchiesta iniziata dall’intelligence di Obama nella primavera del 2016 e formalizzata l’anno dopo con la nomina di Robert Mueller (nella foto con Bush) a inquirente speciale, non si sia prodotto uno straccio di prova contro Trump. Coloro che lanciarono l’inchiesta, che prese l’imbeccata dall’intelligence britannico, sanno che l’intera faccenda del Russiagate è una bufala. Essi vogliono destituire Trump perché egli ha fatto capire chiaramente che, se glie se ne offre l’opportunità, spezzerà l’asse strategico e finanziario transatlantico basato sulla geopolitica imperiale e che è disponibile a partecipare a una nuova alleanza con Russia, Cina e India per sostituire il sistema che non funziona.

Rimandiamo alla lettura del libro di Woodward e dell’editoriale del New York Times per i dettagli delle accuse lanciate contro Trump. Tuttavia, c’è un passaggio dell’editoriale che vale la pena riferire, poiché è rivelatorio. L’autore parla di “resistenza” dentro la Casa Bianca, che “ostacola gli impulsi sbagliati del signor Trump”, come la sua “preferenza per gli autocrati e i dittatori” come il coreano Kim e il russo Putin, “finché [Trump] sarà destituito”. Questo attacco ai due riusciti vertici di Trump avviene mentre si registrano sviluppi significativi riguardo ad entrambi. Nel momento in cui i britannici stanno lanciando nuove accuse sul caso Skripal e un’operazione “false flag” in Siria, è più importante che mai che si realizzi il desiderio di Trump di sviluppare un buon rapporto con Putin.

Così, mentre si sostiene difensivamente che la resistenza anti-Trump alla Casa Bianca “non è il lavoro del cosiddetto Deep State”, l’autore descrive una vera e propria quinta colonna nell’Amministrazione che collabora con gli architetti del Russiagate per impedire al Presidente di seguire l’agenda per la quale è stato democraticamente eletto. Come scrive il giornalista investigativo Gleen Greenwald, la presunta fonte della Casa Bianca “accusa Trump di essere ‘antidemocratico’ mentre dichiara di far parte di una cricca non eletta che impone segretamente la propria ideologia con zero legittimità democratica, mandato o trasparenza”.