L’ultimo Global Financial Stability Report del Fondo Monetario Internazionale contiene un forte monito: quasi il 40% del debito societario in mano alle banche di Wall Street e di Londra esploderà non appena il rallentamento dell’economia si sarà fatto sentire (vedi https://www.imf.org/en/Publications/GFSR/Issues/2019/10/01/global-financial-stability-report-october-2019#FullReport).
Una recessione globale, con una contrazione del due o tre per cento in otto Paesi (Stati Uniti, Cina, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia e Spagna) scasserebbe oltre un terzo delle fette nazionali di quel debito in ondate di insolvenze, prevede il rapporto. Il sistema bancario non reggerà all’urto. Stavolta non sarà un panico finanziario a causare una profonda recessione economica; sarà invece una tenue recessione a scatenare il panico finanziario. I settori manifatturieri di molte nazioni sono già in recessione e il terziario potrebbe seguire a ruota in ogni momento.
Altri aspetti del rapporto del FMI indicano la gravità della crisi alle porte, che gli estensori del rapporto imputano alla recessione industriale e alla mancanza di investimenti capitali. Si teme che i fondi obbligazionari, detentori di titoli per circa 1700 miliardi di dollari, incontrino difficoltà a ripagare gli investitori, che è esattamente ciò che scatenò il panico tra i fondi di investimento, i loro clienti, le banche centrali e i governi alla fine dell’estate del 2008. Il Financial Times minimizza quando dice che ciò “potrebbe potenzialmente destabilizzare il sistema finanziario globale”.
Messa in termini semplici, il FMI lancia l’allarme sul fatto che i tassi nulli e negativi su circa 15 mila miliardi di dollari di obbligazioni significa che i grandi investitori istituzionali sono costretti a speculare per tenere i conti in nero e i fondi obbligazionari in cui investono vanno in perdita quando i primi decidono di uscire. Perciò, nella “caccia alla rendita” i fondi investono in titoli più “illiquidi” e di qualità molto minore e necessitano di liquidità.
Il FMI ha analizzato un campione di 1760 fondi obbligazionari (circa il 60% dei titoli a reddito fisso nel mondo). Ha scoperto che un sesto di essi (la metà dei fondi ad alto rendimento che investono in debito societario di scarsa qualità) non riesce a soddisfare le domande di riscatto già inoltrate. “Si stima che il deficit totale in tutto il settore a reddito fisso raggiungerebbe i 160 miliardi di dollari” se tutti i fondi subissero simultaneamente richieste di liquidità.
È facile intravedere il “caso estremo” descritto dal FMI: una svendita di titoli “buoni” per soddisfare le richieste di riscatto su titoli “illiquidi”, e una ripetizione della debacle dei fondi comuni del 2008. Quello che osserviamo sul mercato repo potrebbe esserne la fase iniziale.
Nel frattempo, da un mese a questa parte, la Federal Reserve ha cercato di fermare la “stretta di liquidità” nel sistema bancario pompando ogni mattina da 50 a 100 miliardi di dollari in prestiti a breve termine nelle grandi banche, ma Wall Street continua a chiederne di più. Questo fa pensare a grossi guai e rende urgente un intervento per separare le banche ordinarie dal settore speculativo, in modo da proteggere il settore del credito. In altre parole, reintrodurre il Glass-Steagall Act.