Il 30 novembre, la redazione del Financial Times ha avvisato il Presidente brasiliano Jair Bolsonaro che non gli è consentito “avere ripensamenti sul concedere piena libertà al Ministro che ha studiato economia all’Università di Chicago negli anni Settanta”. Si tratta del Ministro delle Finanze Paulo Guedes (foto), che lo stesso giorno ha dichiarato ai giornalisti a Washington che, se le proteste di massa dilagheranno in Brasile dal resto dell’America Latina, potrebbe essere imposta una dittatura militare per soffocarle.
Dato il fermento e le manifestazioni che si stanno diffondendo in molti Paesi dell’America Latina e nel resto del mondo, questo messaggio non è rivolto solo al Brasile.
Finora il Presidente Bolsonaro ha fatto quasi tutto quello che gli era stato chiesto da Guedes. Il governo è riuscito a far approvare al Congresso una legge che fa a pezzi lo stato sociale (cosa che i mercati finanziari internazionali chiedevano da decenni) e procede con altre “riforme” come la privatizzazione dell’energia elettrica, l’abrogazione del monopolio del governo sull’emissione di moneta, misure automatiche di austerità per le amministrazioni locali superanti il limite di spesa, nonché la revisione del sistema fiscale, per citarne solo alcune.
Ma Bolsonaro si è impuntato sull’attuazione di una “riforma” che taglierebbe i salari e i diritti dei dipendenti pubblici. Come ha riconosciuto il Financial Times, la sua esitazione riflette il timore che il Brasile possa essere colpito da un processo simile alle rivolte popolari cilene contro la “politica economica friedmaniana” causa di quaranta giorni di proteste ininterrotte, portando nelle piazze fino a 2 milioni di persone (su una popolazione totale di 18 milioni).
Questo potrebbe provocare doppi problemi, perché il popolarissimo ex Presidente brasiliano Lula da Silva, rilasciato dal carcere il 9 novembre, sta già facendo un tour per tutto il Paese protestando contro la politica di austerità di Bolsonaro e Guedes. Lula “non ha perso tempo nel definire Guedes un distruttore di posti di lavoro e mobilitare l’opposizione”, si lamenta la redazione del FT.
Ma il portavoce della City di Londra dà istruzioni a Bolsonaro per mantenere la linea dura. “C’è troppo in gioco in Brasile per mettere a repentaglio le riforme economiche e cadere in tentazioni populiste. Il gigante latino americano ha già aspettato troppo tempo a mettere in ordine le finanze del governo e rendere il Paese più attraente per il business. Se perde questa occasione ora, la finestra di opportunità per il cambiamento si chiuderà, forse per anni, e gli investitori internazionali andranno altrove. Mr. Bolsonaro farebbe bene a tenere i nervi saldi”.
Londra guarda con preoccupazione anche a quanto sta accadendo nella vicina Argentina, in cui il governo anti-austerità di Alberto Fernandez si insedierà il 10 dicembre, avendo già annunciato che di non avere alcuna intenzione di obbedire alle condizioni del Fondo Monetario Internazionale.
Guedes, in visita a Washington per alcuni incontri a fine novembre, ha risposto alle domande dei giornalisti sulla mobilitazione di Lula contro le sue “riforme” economiche, lasciando intendere che verrà ripristinata l’infame “legge istituzionale 5” (AI-5) del 1968, se la popolazione scenderà in piazza. Con quella legge, il Congresso fu chiuso, iniziarono gli arresti di massa e fu istituzionalizzata la tortura come politica di governo.