Appena otto mesi fa, nel maggio 2014, l’Euro era quotato a 1,40 contro il dollaro. Oggi naviga verso la quota di 1:1. Se fosse il rublo si direbbe che sta crollando a picco, e non è lontano dalla verità. Questo è naturalmente il risultato delle mosse – disperate – di Quantitative Easing di Mario Draghi. Possiamo aspettarci che il crollo (o la discesa, se si preferisce) dell’Euro continui man mano che la BCE immetta liquidità sul mercato, a colpi di sessanta miliardi al mese. Ma non scommettiamo un centesimo sulla probabilità che il programma giunga a compimento (nel settembre 2016), prima che l’intero sistema salti per aria.

L’obiettivo presunto della BCE – combattere la deflazione e promuovere la ripresa svalutando le esportazioni – è una truffa. A parte il fatto che la BCE dovrebbe spiegare perché una svalutazione competitiva è una benedizione per l’Euro e una maledizione per i paesi che ne vogliono uscire, la verità è che il QE è un tentativo disperato di impedire il collasso del sistema finanziario – quello sì, irreversibile, al contrario dell’Euro.

Un autorevole economista con esperienza negli organismi internazionali ha concordato con l’analisi dell’EIR, che il sistema stia andando verso una crisi più grave di quella del 2008. “È inevitabile”, ha commentato la fonte. “Nessuno sta facendo niente per impedirlo. Non si può uscire dal QE, che è congegnato a proteggere l’attuale sistema. Se cessa il regime di tassi zero, non si potrà servire il debito. Se si continua il QE, si raggiunge un ‘punto critico’ in cui è probabile lo scoppio di un’inflazione significativa, persino dell’iperinflazione. Il Giappone sta per arrivarci”.

Questa analisi è molto simile al concetto della nota “funzione di collasso” di Lyndon LaRouche: l’attuale sistema è condannato alla fine per crollo o per iperinflazione.

Il crollo della bolla dei prezzi del petrolio e delle commodities sta già aprendo delle voragini nelle banche di Wall Street. Il 30 gennaio, l’industria petrolifera USA ha pubblicato le cifre delle perdite nel 2014, che ammontano a 393 miliardi di dollari. Quaranta miliardi sono perdite sui bonds e i prestiti ad alto rendimento, che hanno colpito le megabanche, ora costrette a cancellare assets energetici diventati spazzatura. In cima a quel debito c’è una bolla di derivati sulle commodities tra i dieci e i venti mila miliardi. Insolvenze ad un capo della catena genereranno perdite sui Credit Default Swaps nascosti nei “prodotti strutturati” in ogni angolo del globo. Già visto?

L’urgenza di una riforma Glass-Steagall è innegabile.