Il 12 febbraio una missione tecnica del Fondo Monetario Internazionale (FMI) è giunta in Argentina per aprire i negoziati col governo del Presidente Alberto Fernández (nella foto con Christina Fernandez de Kirchner) sui 44 miliardi di dollari di debito dovuto al Fondo. Lo stesso giorno, il Ministro del Tesoro argentino Martín Guzmán ha descritto al Parlamento la grave realtà del debito e della crisi economica del Paese, dichiarando inequivocabilmente che prima del 2024 sarà impossibile pagare le rate e gli interessi del debito verso il FMI.
Quando il Presidente Fernández assunse l’incarico nel dicembre 2019, con Cristina Fernández de Kirchner come vicepresidente, l’economia argentina era stata saccheggiata dalla politica neoliberista imposta dal 2015 al 2019 dal governo del Presidente Mauricio Macri, su ordini del FMI. I livelli di vita erano crollati, ha accusato Guzmán, industria ed esportazioni paralizzate, ed era insorta una grave crisi sociale, col tasso di povertà che era arrivato al 40% e cinque milioni di argentini che pativano la fame. Per poter crescere di nuovo, l’Argentina “deve liberarsi del fardello del debito che la sta asfissiando”.
Il debito, ha sottolineato, è “insostenibile” e richiede “una profonda riorganizzazione”. Infatti nel settembre 2018, il FMI aveva concesso all’Argentina un prestito condizionale di 57 miliardi di dollari, il più grande nella storia! Ma 44 miliardi di quella somma sborsata, ha ricordato Guzmán, “non sono stati usati per aumentare la capacità produttiva del Paese”, ovvero per finanziare infrastrutture o progetti utili, bensì per pagare vecchi debiti e incoraggiare la fuga di capitali.
Né il Presidente Fernández né Guzmán hanno fornito dettagli sul piano macroeconomico elaborato dal governo per riattivare l’economia, ma hanno detto che non imporranno austerità, né ridurranno il deficit fiscale nel 2020. Oltre che al FMI e al governo precedente, la crisi attuale è dovuta agli investitori privati che hanno scommesso sul modello fallito del FMI chiedendo interessi da usura. I colloqui sulla ristrutturazione del debito, ha notato Guzmán, saranno difficili, “ma non consentiremo a fondi speculativi stranieri di stabilire le linee guide della nostra politica macroeconomica”.
Nel frattempo, alcuni fondi di Wall Street, come Fidelity, BlackRock e Templeton, stanno creando comitati di obbligazionisti e assumendo avvocati in previsione della battaglia con il governo Fernández. Anche se il capo del governo argentino ha detto che non chiederà all’FMI una riduzione del debito, perché gli statuti del FMI lo proibiscono, l’8 febbraio la vicepresidente Cristina Fernández ha invece chiesto “una sforbiciata sostanziale”, accusando l’FMI di aver violato i propri statuti quando concesse il prestito di 57 miliardi di dollari. Dopo aver ricordato che il debito argentino rappresenta il 60% degli impieghi del FMI, ha chiesto una mobilitazione all’insegna del “mai più” per fermare il ciclo dell’indebitamento, piaga storica dell’Argentina.