Quando l’attacco aereo israeliano alla Siria il 3 e 5 maggio ha portato il Medio Oriente e il mondo sull’orlo della guerra, si sono mossi ambienti politici in Russia, negli USA e in Cina per impedire la conflagrazione. La più chiara indicazione di questa mossa è stato l’incontro tra il segretario di Stato USA John Kerry, il Presidente russo Vladimir Putin e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, a Mosca il 7 maggio.

Dopo tre ore di discussione a porte chiuse, Kerry e Lavrov hanno annunciato che i propri governi avrebbero cercato di organizzare una conferenza prima della fine del mese, per far sedere attorno ad un tavolo rappresentanti del governo siriano e dei ribelli e negoziare un cessate il fuoco ed un piano per la successione basato sull’accordo di Ginevra del giugno 2012. Nell’anno trascorso non è stato compiuto alcun progresso sulla roadmap, perché USA, Gran Bretagna, Francia, Turchia e Qatar hanno continuato a perseguire il “regime change” e a fornire armi e altro materiale di sostegno ai ribelli siriani nello sforzo per rovesciare militarmente il governo di Bashar Assad.

Mentre negli USA alcuni, come il senatore McCain, ancora martellano a favore di un intervento militare, con la creazione di una no-fly-zone, un’area liberata e altre misure, il capo degli Stati Maggiori Riuniti, il generale Martin Dempsey, ha ripetutamente dichiarato al Presidente Obama e al suo team per la sicurezza nazionale che non ci sono opzioni militari fattibili e che gli USA non possono ripetere la guerra in Libia del 2011 sulle sponde orientali del Mediterraneo.

L’ex segretario alla Difesa Robert Gates si è schierato a fianco di Dempsey in un’intervista a CBS Face the Nation. Gates ha osservato che le cosiddette “rivoluzioni arabe” devono essere riconsiderate radicalmente, dato che i paesi interessati sono tutti creazioni artificiali delle potenze coloniali europee, che misero assieme “gruppi, religioni e sette storicamente avversari”. Pensare che l’intervento esterno possa determinare lo sbocco di tali conflitti, in Siria come in Libia, “è un errore”.

Gates ha ricordato la sua decisa opposizione alla creazione di una no-fly-zone in Libia nel 2011, che lo mise in contrasto con la Casa Bianca e portò alle sue dimissioni nel giugno di quell’anno. In Siria i motivi di opposizione ad un’azione simile sono ancora più forti, ha detto Gates.

L’economista e politico americano Lyndon LaRouche ha preso atto del risultato degli incontri di Kerry a Mosca, affermando che il segretario di Stato USA è abbastanza opportunista dal capire che “Obama è al tramonto” e collocarsi nel campo di chi vuole impedire la guerra. Infatti a Mosca Kerry ha perorato la causa del partenariato strategico tra Russia e Stati Uniti, e ha sottolineato il serio pericolo di guerra.

Non tutti si sono rallegrati all’esito dell’incontro di Mosca. Il Primo ministro britannico David Cameron si è catapultato al Cremlino e successivamente a Washington, per inserire la Gran Bretagna nel mezzo dei piani per il nuovo incontro di Ginevra, indubbiamente per sabotarlo. Il Primo ministro turco Erdogan ha continuato a ripetere l’accusa, ormai screditata, che le forze di Assad abbiano usato armi chimiche, anche dopo che Carla Del Ponte ha rivelato che stando ai rilievi preliminari dell’ONU, sembra che siano stati i ribelli e non le forze armate siriane ad usare il gas sarin. Quando la bufala delle armi chimiche ha perso credibilità, c’è stato un attentato nella Turchia meridionale, che Erdogan ha prontamente imputato alla Siria, nonostante i primi arresti riguardino esclusivamente cittadini turchi.

Erdogan dovrebbe incontrare Obama il 16 maggio a Washington e anch’egli eserciterà pressioni per un intervento militare USA, tentando di sabotare gli sforzi di pace russo-americani.

Anche se il Primo ministro israeliano Netanyahu ha sostenuto che gli attacchi missilistici contro obiettivi in territorio siriano non facessero parte di un intervento in sostegno dei ribelli, Israele rimane un fattore imprevedibile nel conflitto mediorientale e qualsiasi attacco nel futuro potrebbe scatenare una guerra generale.