L’8 febbraio l’Italia è diventato il primo grande paese industrializzato ad inserire la protezione di “biodiversità”, “ecosistemi” e animali nella propria Costituzione. La modifica, sponsorizzata dal ministro della “Transizione ecologica” Roberto Cingolani, è stata approvata in quarta lettura da una larghissima maggioranza alla Camera, con un solo voto contrario e sei astensioni, tutti da FdI.
Ciò renderà quasi impossibile in futuro costruire ferrovie, ponti e strade se un qualsiasi comitato ambientalista farà ricorso in tribunale in difesa di una “specie minacciata”. Il nuovo testo è anche coerente con la missione assegnata a Mario Draghi quando fu chiamato a Palazzo Chigi nel febbraio di un anno fa, sponsorizzato da Bruxelles e dalla City di Londra. Due mesi prima, quando la sua nomina prendeva forma, Draghi firmò un articolo per il Gruppo dei Trenta in cui affermava che una “ripresa” post-pandemia avrebbe inevitabilmente attraversato un processo di “distruzione creativa”. Il governo avrebbe sorretto solo le attività clima-compatibili e il resto sarebbe stato lasciato fallire.
Nei fatti, la politica climatica imposta dall’UE sta producendo una distruzione di capacità produttive senza precedenti, nella quasi indifferenza del governo Draghi. A causa dell’impennata dei prezzi dell’energia, industrie come quelle della ceramica, della carta, del vetro ecc. sono costrette a fermare la produzione per non indebitarsi e fallire. Aumenti del prezzo del gas e dell’elettricità fino al 500% colpiscono anche le famiglie. La Confindustria ha quantificato in 36 miliardi l’aumento dei costi dell’energia per le imprese, mentre l’Alleanza Cooperative ha calcolato in 80 miliardi l’aumento della bolletta complessivo per imprese e famiglie. I cinque miliardi finora stanziati dal governo sono una goccia nel deserto e agli appelli ad un’azione più risolutiva il governo Draghi ha risposto che “sorry, il bilancio non consente sforamenti”.
Ma mentre i soldi per aiutare imprese e famiglie non si trovano, il governo si è indebitato per 191 miliardi con i mercati finanziari, attraverso il Fondo di Ripresa e Resilienza dell’UE. Questi prestiti, che prima o poi bisognerà restituire, equivalgono a oltre il 10% del PIL e nonostante gli annunci roboanti di Palazzo Chigi, non andranno ad una vera ripresa, ma ad una miriade di piccoli e micro-progetti il cui moltiplicatore fiscale – secondo i calcoli dello stesso governo – sarà pari a 0,9, cioè per ogni euro investito ci sarà un ritorno di 90 centesimi. Una perdita netta. Senza contare che gli enti locali hanno già lanciato l’allarme: non sono in grado di gestire i fondi perché mancano le capacità tecniche.
L’ipocrisia del governo è dimostrata dal fatto che l’unico grande progetto pronto da avviare e sicuro volano di produttività, il Ponte sullo Stretto di Messina, è stato escluso dal PNRR con argomenti pretestuosi. E a dispetto dell’annuncio di estensione dell’Alta Velocità al Sud, solo 40 dei 445 km complessivi da Salerno in giù sono inclusi nel piano (https://www.lacnews24.it/opinioni/alta-velocita-salernoreggio-calabria-nel-2026-solo-40-chilometri-ma-porteranno-a-potenza_148231/). Complessivamente, il PNRR stanzia per le infrastrutture 25 miliardi in sei anni.
Si ha l’impressione che il PNRR sia un gigantesco “villaggio Potemkin” congegnato dall’élite di Bruxelles per salvare l’euro usando l’Italia come cavia. Ben presto, la crisi economica e sociale travolgerà il governo Draghi. L’ex banchiere centrale lo ha capito da tempo ed è questo il motivo per cui teneva tanto a salire al colle e lasciare la barca che affonda.