Chi legge i giornali e guarda la TV apprende che l’inquirente speciale Robert Mueller (nella foto con Bush), dopo aver interrogato il Ministro americano della Giustizia Sessions, spiccato un mandato di comparizione per l’ex consigliere di Trump Steve Bannon, sta per decidere se incriminare Trump per intralcio alla giustizia e convocarlo per un interrogatorio.

Inoltre, rimbalzano le notizie pubblicate dal New York Times il 25 gennaio, secondo il quale lo scorso giugno Trump avrebbe ordinato al consigliere della Casa Bianca Don McGahn di licenziare Mueller, scontrandosi con il suo rifiuto e provocando in lui la minaccia di dimissioni. Un’altra “prova” di intralcio alla giustizia.

In realtà, finora vi sono accuse e contro-accuse, ma nemmeno uno straccio di prova.

Chi invece si trova nei guai è il fronte anti-Trump. Il 29 gennaio si è dimesso, in anticipo rispetto alla data annunciata, il numero due dell’FBI Andrew McCabe, a capo della task force che investigava su Trump e già caduto in contraddizioni deponendo di fronte a tre commissioni parlamentari. Il cerchio si sta stringendo su McCabe e gli altri funzionari al servizio del “deep state”: i repubblicani al Congresso hanno raccolto le prove che l’FBI usò il famigerato dossier scritto dall’ex agente dell’MI6 Christopher Steele e pagato dalla campagna di Hillary per ottenere dal tribunale FISA l’autorizzazione a intercettare i funzionari dell’organizzazione elettorale di Trump. La scorsa settimana i deputati hanno ricevuto un memorandum, per ora segreto, stilato dal deputato Devin Nunes, capo della Commissione sull’Intelligence della Camera. Il memo conterrebbe effettivamente le prove che l’FBI usò un dossier falso per ottenere l’autorizzazione. Lo stesso Comey ha ammesso di fronte al Congresso lo scorso giugno che il dossier era “volgare e non verificato”.

In precedenza era scoppiato lo scandalo dei messaggini via SMS tra gli inquirenti attivi nel Russiagate che dimostrano chiara ostilità nei confronti di Trump. In uno dei messaggi, l’esperto di controspionaggio dell’FBI Peter Strzok ammetteva di credere che “non c’è niente” nell’inchiesta, e cioè nessuna prova di interferenze russe o collusione di Trump, e tuttavia l’inchiesta doveva procedere. In un messaggio mandato il giorno dopo le elezioni, Strzok scrisse all’avvocato dell’FBI Lisa Page che “forse questa sarà la prima riunione della società segreta”, riferendosi a un gruppo che avrebbe dovuto tramare per deporre il Presidente appena eletto.

Mentre per il Washington Post tutto ciò non sarebbe che un tentativo di distruggere “la fiducia nell’idea di una forza dell’ordine imparziale”, il deputato Trey Gowdy, membro della Commissione sull’Intelligence della Camera, ha dichiarato alla Fox News che se si vuole sapere la verità sulle accuse all’FBI, si renda pubblico il memorandum di Nunes.