Goldman Sachs ha raccolto voci di una prossima decisione della BCE di espandere di 400 miliardi di euro il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Program), prolungandolo fino ad oltre la fine del 2021 e allargandolo all’acquisto di titoli ad alto rendimento (e quindi ad alto rischio). La decisione è apparentemente motivata da due fattori: la prospettiva di un ulteriore declino dell’economia dell’Eurozona a causa della pandemia ed un’inflazione “core” scesa allo 0,2% a settembre, sintomo di una spirale deflazionistica che manda ulteriormente in rosso i conti pubblici e quelli di imprese e banche. Già l’estate scorsa, Andrea Enria, capo della sorveglianza della BCE, aveva pronosticato potenziali sofferenze bancarie per 1400 miliardi.
Il rapido aumento della curva dei contagi ha costretto Spagna e Francia a reintrodurre dei lockdown, ma sta anche creando preoccupazione in Germania, Italia e altri paesi. I titoli pubblici dell’Eurozona mostrano ancora rendimenti bassi (il titolo decennale greco è a 0,86%), ma una nuova caduta delle attività produttive potrebbe velocemente invertire la tendenza e causare una fuga di capitali dai paesi indebitati verso i titoli tedeschi. Addio allora ai tassi negativi: i rendimenti schizzerebbero verso l’alto, creando una crisi dell’euro peggiore di quella del 2011. Gli analisti di Citigroup stanno già consigliando di vendere i titoli spagnoli.
In questa situazione, la BCE sta dimostrando che gli esseri umani possono comportarsi come ciuchi, cioè possono continuare a ripetere la stessa azione nonostante abbia sempre fallito nel raggiungere l’obiettivo prefissato. Quando l’economia fisica crolla, creare liquidità per tenere in piedi la banche zombie non pone fine alla deflazione, ma la aggrava finché, ad un certo punto, si passa dalla deflazione all’iperinflazione quando la liquidità esonda dall’economia finanziaria e invade l’economia reale.
Mentre i neokeynesiani esultano a ogni annuncio di nuovi fantastilioni della BCE, il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha protestato che il PEPP era stato adottato “come misura non-standard di risposta alla crisi. Ciò fu chiaramente comunicato e il Consiglio della BCE dovrebbe essere affidabile e coerente al riguardo”. Saremmo sorpresi se Weidmann stavolta facesse seguire alle parole i fatti, a differenza del passato, e ritirasse la Bundesbank dal programma PEPP.
Intanto, c’è da registrare il fallimento dei negoziati tra Commissione, Consiglio e Parlamento Europei per raggiungere un accordo sul bilancio settennale da cui dovrebbe provenire parte dei fondi del cosiddetto Recovery Fund. Così, l’unico strumento di stimolo dell’economia reale che l’EU abbia pianificato, anche se totalmente insufficiente e già in super-ritardo, ora rischia di non partire nemmeno a metà 2021. Considerando che alcuni paesi, come l’Italia, hanno già inserito i fondi promessi nel bilancio 2021, l’incertezza dei tempi aggiunge un altro fattore negativo al quadro generale.
Solo una riforma del sistema bancario, che separasse le banche commerciali da quelle speculative (Glass-Steagall), potrebbe spianare la strada alla trasmissione del credito alle imprese e ad una vera ripresa.