Esperti europei e russi che hanno esaminato le vicende dell’11 settembre, hanno fatto notare che:

  1. il fallimento dei servizi USA ha facilitato il successo dell’attacco terroristico,

  2. negli Stati Uniti stessi doveva essere stata allestita una struttura di sostegno a lungo termine molto robusta, e

  3. occorre indagare sugli ambienti della “milizia” USA.

I problemi di corruzione e di “cordate occulte di potere” sia nella FBI che nel ministero di Giustizia e negli aspetti “privatizzati” del Comando Operazioni Speciali nel ministero della Difesa, hanno complessivamente ridotto la capacità dell’intelligence USA di badare alla sicurezza nazionale al livello deprecabile tragicamente mostrato l’11 settembre. Questo rende l’attuale capacità di indagini sulle effettive strutture di comando e di logistica delle operazioni terroristiche fin troppo ridotta.

Per tutti gli anni Novanta, l’FBI ha limitato le indagini a “terroristi solitari” — come McVeigh e Nichols per Oklahoma City — o alla banda di Osama bin Laden, considerata come un fattore autonomo. Si tratta di un modus operandi che lascia ampio spazio di manovra a chi è intenzionato a costruire strutture terroristiche più realisticamente complesse e pericolose.

Il 13 settembre l’ex agente della CIA Milt Beardon, che negli anni Ottanta fu addestratore dei Mujaheddin in Afghanistan, ha spiegato alla CBS-TV che attorno a Bin Laden è stato creato “un mito” tale per cui egli sarebbe responsabile di tutto. Quando gli anglo-americani cominciarono a ridurre il sostegno ai Mujaheddin impegnati contro l’Armata Rossa, formazioni e strutture logistiche di quelle operazioni furono mantenute in piedi ma in forma coperta, dando vita al fenomeno degli “afgantsi”. Molte formazioni sono rimaste attive, ma hanno issato “bandiera falsa”.

Le basi principali vanno cercate negli USA. Dalle bombe al WTC del 1993 a quelle di Oklahoma City del 1995, alle bombe alle ambasciate USA in Kenya e Tanzania, fino all’orrendo episodio dello scorso 11 settembre, i responsabili accertati sono stati o cittadini americani, o immigrati con residenza permanente, e solo in rari casi cittadini stranieri, che però avevano solidi collegamenti negli USA e viaggiavano avanti e dietro.

Ad esempio, i sospetti piloti suicidi avrebbero seguito il corso di addestramento negli USA, in parte in basi militari, e avevano basi logistiche negli USA.

Nel maggio 2001 Lyndon LaRouche spiegò che la fretta di giustiziare McVeigh comportava un rischio per la sicurezza degli Stati Uniti. Occorreva infatti riconoscere che era impossibile che egli avesse compiuto l’attentato solo con un complice. Invece di accreditare la tesi del “bombarolo solitario” occorreva fare luce sugli ambienti della “milizia”, a cui appartengono ex alti ufficiali e persone con preparazione specialistica nei settori di sicurezza. In tal modo sarebbero dovute venire alla luce complicità e strutture di comando e controllo. E’ noto che tra i fanatici della “milizia” non è difficile trovare i pazzi disposti al suicidio ed è noto che negli ambienti dei fondamentalisti protestanti la simpatia per la “milizia” è molto diffusa.

Occorre poi anche indagare i collegamenti che intercorrono tra le reti terroristiche internazionali degli Afgantsi e il movimento della milizia. Il primo avvocato difensore di McVeigh documentò come il complice del suo cliente, Nichols, si fosse recato frequentemente nelle Filippine dove sono attivi gruppi della guerriglia islamica. Raccolse indizi di suoi abboccamenti con il gruppo di Al Sayyaf, che a sua volta aveva collegamenti con Ramzi Yousef, l’ultimo arrestato tra i sospettati per le bombe del WTC del 1993.