Il 29 settembre, la Casa Bianca ha reso pubblico un programma in 20 punti per un cessate il fuoco a Gaza. Il “Piano Completo per porre fine al conflitto di Gaza”, approvato da Netanyahu, è stato poi inviato ad Hamas e, nel giro di poche ore, è stata pubblicata una dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri di Qatar, Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Indonesia, Turchia e Pakistan, che si sono impegnati a “lavorare sul programma”.
La loro dichiarazione congiunta recita: “I ministri accolgono con favore l’annuncio del presidente Trump riguardo alla sua proposta per porre fine alla guerra, ricostruire Gaza, impedire lo sfollamento del popolo palestinese e promuovere una pace completa, così come l’annuncio che non permetterà l’annessione della Cisgiordania”. Inoltre, affermano di essere pronti a “impegnarsi in modo positivo e costruttivo” sia con gli Stati Uniti sia con le altre parti “verso la finalizzazione dell’accordo e la sua attuazione”.
Infine, “ribadiscono l’impegno congiunto a lavorare con gli Stati Uniti per porre fine alla guerra a Gaza attraverso un accordo completo che assicuri la consegna, senza restrizioni, di adeguato aiuto umanitario a Gaza, nessuno sfollamento dei palestinesi, il rilascio degli ostaggi, un meccanismo che garantisca la sicurezza di tutte le parti, il completo ritiro israeliano, la ricostruzione di Gaza e la creazione di un percorso per una pace giusta sulla base della soluzione dei due stati, in base alla quale Gaza sia pienamente integrata con la Cisgiordania in uno Stato palestinese conformemente al diritto internazionale, come elemento chiave per il raggiungimento della stabilità e della sicurezza regionale”.
Alla conferenza stampa alla Casa Bianca insieme a Netanyahu, Trump ha evitato di menzionare i punti del piano che sono particolarmente indigesti per il leader israeliano, come la consegna immediata di aiuti alimentari pari a circa 600 camion al giorno, la continua presenza dei gazawi a Gaza e il divieto di qualsiasi annessione da parte di Israele.
Quanto a Netanyahu, questi ha sottolineato che, se Hamas non rispetterà i termini che ha presentato, Israele riprenderà a “ripulire” Gaza e a “portare a termine il lavoro”. Per esempio, se l’Autorità Palestinese intentasse azioni legali presso la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale, ciò dimostrerebbe che non si è riformata. Non solo: se Hamas respinge l’accordo, ma anche se lo accetta e poi vengono compiute azioni che contraddicono la visione che Netanyahu ne ha, “Israele porterà a termine il lavoro da solo”. È evidente che sarà necessario esercitare molta più pressione da parte della comunità internazionale, e soprattutto da parte del cosiddetto “Occidente collettivo”, per porre fine a questa carneficina. (Nella foto il criminale Netanyahu applaudito dal Congresso. E’ intervenuto all’ONU pur essendo ricercato dalla Corte Internazionale per crimini contro l’umanità, ma la maggioranza dei delegati hanno lasciato l’aula, eccetto l’Italia).
