di Gottfried Wilhelm von Leibniz (ca. 1694)

VIRTÙ è la maniera di agire in accordo con la saggezza, poiché è necessario che la pratica accompagni la conoscenza, affinché l’esercizio delle azioni buone divenga agevole, naturale, e le trasformi in abitudini, in modo tale che le abitudini diventino una seconda natura.

SAGGEZZA è la scienza della Felicità. È ciò che dobbiamo studiare prima di ogni altra cosa, poiché nulla è più desiderabile della Felicità. È la ragione per la quale dobbiamo sempre avere la mente occupata dal tema in esame, pensare sempre alla questione cruciale, il che significa riflettere spesso sull’intenzione o sull’obiettivo da raggiungere, dic cur hic, respice finem, e dire a noi stessi, di tanto in tanto: “Che cosa sto facendo? Qual è lo scopo di questo? Andiamo al sodo”. Così potremo evitare di sprecare il tempo con le futilità o qualunque cosa divenga futile allorché noi indulgiamo in essa per troppo tempo.

FELICITÀ è uno stato durevole di piacere e contentezza: gioia. Alcuni piaceri, tuttavia, specialmente i più sensuali, causano pene che sono ben più grandi e più durevoli quando si manifestano, o impediscono piaceri maggiori o più durevoli. Il ruolo della saggezza è di fornirci i veri mezzi e la precauzioni necessarie e i discernimenti per acquisire la Felicità. Dobbiamo distinguere tra gioia e piacere: si può provare gioia anche nel dispiacere; dobbiamo anche considerare che la gioia è sempre accompagnata dalla contentezza, ma dice qualcosa d’altro. Ecco perché la nostra gioia e il nostro piacere non devono avere spiacevoli postumi e non devono sprofondarci in seguito in una tristezza maggiore e più lunga. Questa selezione di gioie e piaceri, e di mezzi per ottenerli, evitando la tristezza, rappresenta la scienza della Felicità. Molti piaceri, principalmente i più sensuali, causano dispiaceri maggiori e più durevoli o impediscono l’accesso a piaceri maggiori o più durevoli. Ecco perché va promossa e difesa la moderazione. D’altra parte, vi sono dispiaceri che sono estremamente utili ed istruttivi. Così, è in simili scelte e nei mezzi per ottenerle o evitarle che sta la scienza della Felicità.

GIOIA è il piacere totale, il quale risulta da ogni cosa l’anima percepisca simultaneamente. Questa è la ragione per cui si può provare la gioia nel mezzo di grandi sofferenze; quando i piaceri sono sentiti simultaneamente sono aumentati e maggiormente capaci di condizionare tali sofferenze, o quando sono grandi a sufficienza da essere capaci di eliminarle, come dimostra il caso di questo schiavo spagnolo il quale, dopo aver ucciso il cartaginese che aveva assassinato il suo padrone non provò più alcuna pena e si prese gioco dei tormenti che il suo aguzzino aveva escogitato per lui.

PIACERE è il sentimento di qualche perfezione, e questa perfezione in grado di causare il piacere può essere trovata non soltanto in noi stessi ma anche in altri, o altrove. Poiché quando diventiamo consapevoli di essa, questo riconoscimento eccita qualche perfezione in noi, in quanto la rappresentazione della perfezione è, pure, perfezione. Ecco perché è bene rendersi familiare a oggetti che ne hanno molta. E noi dobbiamo evitare l’odio e l’invidia, che ci impediscono di scoprire piaceri nella [promozione] del bene degli altri e di goderne.

AMARE è scoprire piacere nella Felicità di altri. Così, non è altro che una benevolenza, che è disinteressata. Così, l’abitudine di amare un altro non è altro che la BENEVOLENZA per mezzo della quale vogliamo il bene di altri, non per qualche profitto nostro, ma perché ci piace in sé, perché è piacevole in sé.

CARITÀ è la benevolenza generale. e GIUSTIZIA è carità in conformità alla saggezza. Così, quando siamo nell’umore di voler fare tutto ciò che è in nostro potere per rendere tutti felici, possediamo la carità; e quando essa è ben regolata dalla saggezza, in un modo che nessuno possa lamentarsene, ciò che è prodotto è la virtù chiamata giustizia; [la quale esiste] in una maniera tale che noi evitiamo di fare qualunque danno a qualcuno, senza necessità, e compiamo piuttosto il bene, nella massima misura possibile, ma soprattutto laddove è conferito al massimo nella maniera più perfetta e più gradevole. Il modo ottimo di percepire la perfezione è attraverso la conoscenza delle perfezioni per mezzo della ragione.

Vi sono due sorti di conoscenza, quella dei fatti [fattuale], che chiamiamo PERCEZIONE, e quella delle ragioni che chiamiamo INTELLIGENZA. La percezione è di cose particolari, l’intelligenza è di verità eterne e universali. Ecco perché la conoscenza delle ragioni ci perfeziona per sempre e fa che noi conduciamo ogni cosa alle ragioni finali delle cose o alle loro cause sovrane, cioè, all’Essere Perfetto, il quale è la fonte di ogni perfezione e di tutte le cose; in una parola, a Dio, che à la fonte della Felicità.

Ma la conoscenza dei fatti è come quella delle strade in una città, che ci aiuta mentre vi abitiamo, ma con la quale non vogliamo appesantire troppo a lungo la nostra memoria, dopo che l’abbiamo lasciata. Tuttavia, il piacere nella conoscenza delle ragioni è molto più stimabile del piacere di apprendere dei fatti. I fatti, inoltre, che sono massimamente importanti da considerare sono quelli, i quali pertengono alle cose che contribuiscono di più alla liberazione delle nostre menti cosicché noi possiamo ragionare giustamente e agire in accordo con la ragione. Tali sono i fatti la conoscenza dei quali è utile all’ordinamento della propria vita e all’uso del proprio tempo; alla pratica della virtù; alla cura della propria salute, poiché le malattie ci impediscono di agire e di pensare; all’arte del vivere tra gli altri esseri umani, poiché di tutte le cose esterne nulla è più utile alla Felicità dell’uomo che l’uomo stesso, poiché tutti abbiamo lo stesso vero interesse. Così dobbiamo profittare della loro assistenza nella conoscenza della verità, seguire gli uomini virtuosi e saggi, e, quando necessario, cercare di esercitare [la nostra pazienza] con gli altri, senza irritarsi.