A metà ottobre Lyndon LaRouche è stato a Roma per tenere una serie di incontri ed è stato invitato ad un seminario informale, indetto dall’Istituto Italiano per l’Asia, a cui hanno partecipato anche alcuni parlamentari.

Il resoconto completo in inglese dell’avvenimento è apparso sul numero 43 del 9 novembre 2001 della rivista Executive Intelligence Review (EIR).

Sen Orlando: L’ultima volta, quando ci siamo visti, abbiamo avuto uno scambio molto interessante di vedute. L’attuale a situazione internazionale, così gravida di eventi, rende senza dubbio stimolante la discussione di oggi. Insieme ai dirigenti dell’Istituto abbiamo ritenuto il dovere anche di pregare alcuni parlamentari di essere presenti a questa nostra riunione. Io vorrei presentarli adesso, a cominciare dal vice presidente dell’Istituto sen. Folloni, già ministro del precedente governo, l’on. Evangelisti, già deputato del parlamento, l’on. Tullio Grimaldi, l’on. Brunetti, l’avv. Rita Bruno, Antonio Loche, direttore generale dell’Istituto e anche uno studente dell’università di Roma, e altri ancora.

Lyndon LaRouche: Ci troviamo oggi in una situazione molto singolare, caratterizzata dalla disintegrazione del sistema monetario e finanziario vigente. A ciò si aggiunge il pericolo di una guerra mondiale. L’11 settembre si è verificato, a prescindere da ciò che hanno scritto i giornali, un tentativo di colpo di stato negli Stati Uniti, contro l’amministrazione Bush. E questa è purtroppo la cosa da prendere in considerazione in primo luogo, perché altrimenti non si comprende la situazione mondiale in ogni suo aspetto.

La crisi monetaria e finanziaria era prevista. Si discute già da qualche tempo sulle scelte politiche da fare in una crisi del genere. Si tratta di discussioni tutte fondate sui presupposti dell’era post-sovietica. Con la caduta dell’Unione Sovietica, quale avversaria degli USA, si è posto l’interrogativo se le potenze anglo-americane, e gli israeliani con loro, potessero fondare un Impero Romano. Si tratta di un Impero Romano di tipo speciale, sul modello della Repubblica Veneziana che, come potenza marittima, dominò il Mediterraneo col sistema della rendita finanziaria (l’attuale gruppo d’interesse internazionale, che ha sede a Londra, conta su New York come alleato principale e rappresenta un impero mondiale della rendita finanziaria, è l’erede degli imperi olandese e britannico che succedettero a quello veneziano). In maniera crescente, dal periodo 1966-1971, questo impero domina il mondo con un sistema monetario suo proprio che fu instaurato, tra il 1971 e il 1972, con il passaggio dal sistema a cambi fissi a quello a tassi fluttuanti. Questo sistema si sta ora disintegrando. Perciò, ora accade che la potenza imperiale anglo-americana della rendita finanziaria è minacciata dall’estinzione del suo proprio sistema. Il fenomeno rivela il suo carattere nel tentativo, in corso dal 1989, di imporre la “globalizzazione”. Ad esempio, nel 1975-1976, quando partì il tentativo di globalizzare l’Italia, sotto le condizioni del FMI, si cercò di ridurre essenzialmente gli stati nazionali europei a dipendenze coloniali di una potenza internazionale della rendita finanziaria. Essenzialmente il conflitto, in passato come ora, è quello tra lo stato nazionale moderno, sovrano, e una potenza imperiale della rendita finanziaria, un nuovo tipo di Impero Romano. Ciò che questo implica è chiaro quando si pensa a che cosa uno stato nazionale debba fare di fronte ad un crollo del sistema finanziario. Sotto la legge naturale, così com’è stata definita nell’Europa rinascimentale dall’opera De concordantia catholica di Niccolò Cusano, l’unica base legittima dell’esistenza di una nazione, di un governo nazionale, è il suo impegno a promuovere il bene comune, della sua popolazione e delle nazioni.Pur tenendo nel dovuto conto i problemi che poi derivarono dalle guerre di religione tra il XVI e il XVII secolo, nella sfera della cultura europea siamo riusciti a salvaguardare questa eredità del bene comune, come un generale principio di legge e di civiltà. Ciò significa che in tempi di crisi lo stato nazionale sovrano deve intervenire, collaborando con altri stati nazionali, per riorganizzare il sistema finanziario in maniera da garantire il bene comune. Così il moderno stato nazionale, in questa forma, è il nemico principale del tentativo di ricostruire un nuovo impero. Arriviamo così al significato di ciò che sta accadendo in Asia, un fenomeno che presenta due dimensioni principali: da una parte, con gli sviluppi che si stanno verificando in Russia attorno al Presidente Putin, e che avevano preso il via già con il Primo ministro Primakov, c’è la tendenza ad un riavvicinamento tra le nazioni asiatiche e quelle europee. Il secondo problema, che sorge da questo fatto, è che abbiamo due culture di fondo sul pianeta. Non c’è una cultura occidentale, ma c’è piuttosto una cultura europea, e intendo quella che nacque in Egitto, che si sviluppò in Grecia attorno a personaggi come Solone e Platone, e che diventò una nuova cultura europea grazie alla missione apostolica di Giovanni e Paolo.

La base per il dialogo delle culture

Questa cultura europea si fonda sulla concezione dell’uomo fatto ad immagine di Dio, che è la base della nozione giuridica del bene comune. Essa comprende anche il giudaismo della Riforma ispirato da Moses Mendelssohn. Il suo un influsso è sentito anche nell’Islam, perché appartiene alle sue origini. Ma nell’Asia del Sud e dell’Est troviamo culture ben diverse. In esse non prevale una concezione dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio, anche se vi sono delle influenze che provengono dall’Islam … Certi aspetti dell’Induismo non sono del tutto ostili a quest’idea come non gli è ostile la tradizione confuciana cinese. Ma i principi più fondamentali e preziosi della cultura europea non sono accolti facilmente nel mondo asiatico. Così, se ad un livello non è difficile presentarsi ai cinesi, ai giapponesi o agli indiani e dire “Noi siamo per il pieno rispetto della sovranità degli stati nazionali”, quando poi si cerca di spiegare ciò che questo significa, si arriva inevitabilmente al concetto di cultura e della concezione dell’uomo. A questo punto sorgono dei problemi. Se si cerca di procedere a senso unico s’imbocca una politica impossibile, destinata a fallire in partenza. E se ci si dice disposti a rispettare l’opinione delle altre culture, si crea un ordine come quello che fu del Pantheon, della Roma pagana, e come questo funzioni lo vediamo nei piani dello Scontro di civiltà. Vediamo nella storia della civiltà, dall’antica Babilonia fino ad oggi, che tutti gli imperi si sono basati sul principio del Pantheon. E il modo in cui l’imperatore regnava sull’impero era mettendo una religione del Pantheon contro l’altra. Proprio questo è ciò che propone Brzezinski: una guerra tra le culture per definire il pianeta come un Pantheon, e la gestione di guerre tra le diverse religioni e culture in seno a questo Pantheon. Questa è la tesi dello “scontro di civiltà”, e in particolare contro l’Islam, proposta da Zbignew Brzezinski. Così, dal punto di vista della nostra tradizione cristiana, non si può adottare un approccio dottrinario. Occorre piuttosto un approccio missionario, apostolico, ma non dottrinario. Invece di elencare le differenze occorre preoccuparsi di quali siano i punti in comune. Così, come propone giustamente il presidente iraniano Khatami, occorre discutere sulla necessità di raggiungere un accordo su un’idea comune dell’uomo. E bisogna concepirla come una discussione continua su ciò che quest’idea comune dell’uomo significa. Non è in alcun modo possibile unire le persone se non sulla base d’un principio comune. Non è in alcun modo possibile unire le persone attorno ad un Pantheon. Si è visto in Babilonia, nel culto satanico di Apollo a Delfi, nella Roma pagana, ecc. è impossibile. Lo si vede nel destino subito da Bisanzio, che è lo stesso a cui era andato incontro prima l’Impero Romano, cercando di organizzare la civiltà attorno ad un Pantheon. Occorre un concetto comune dell’uomo e questo è il nostro problema.

Il complotto golpista

Mentre il nemico tutto questo lo sa benissimo, c’è la crisi finanziaria che avanza. Non c’è niente che possa fermare il crollo del sistema così com’è ora. Ogni tentativo di perpetuare questo sistema non fa che peggiorare le cose. Lasciamo stare i mercati finanziari, tanto il loro destino è comunque segnato. Ciò che faranno i mercati questo mese, il mese prossimo o quell’altro ancora non conta affatto. L’economia mondiale, a partire dagli USA, sprofonda nell’iperinflazione, l’espansione monetaria e finanziaria, e va incontro al collasso deflazionistico. Ecco, coloro che hanno pianificato questo colpo di stato contro gli Stati Uniti hanno accettato questa realtà di fatto. Certo, adesso noi non sappiamo chi ordisce il complotto. Ciò che sappiamo, nei fatti, è che certi aspetti tecnici degli attacchi verificatisi l’11 settembre non potevano essere organizzati dal di fuori degli Stati Uniti. è un fenomeno che corrisponde in tutto e per tutto ad un colpo di stato militare. Chiunque abbia esperienza in questo settore lo riconosce subito all’analisi dei fatti. Ogni stato ha le sue misure di sicurezza per cautelarsi contro un possibile golpe. Una volta scattate, queste misure si rivelano più o meno efficaci. Anche se un golpe riesce a mettersi in moto, la probabilità che abortisca è grande. Quindi chi complotta deve essere sicuro che i sistemi di sicurezza vengano effettivamente disattivati, o del tutto smantellati.

Si tratta di competenze che non riguardano tanto le strutture di polizia, quanto i servizi segreti civili e militari. E a fare un colpo di stato è sempre una minoranza, perché se si trattasse di una maggioranza potrebbe semplicemente prendere il potere. Si ricorre al golpe per prendere il potere con la frode e l’inganno.

Così, se qualcuno appicca il fuoco in un teatro, è sicuro che la gente si lascerà prendere dal panico. Quel qualcuno allora ha mano libera per fare quel che si riprometteva, come conseguenza del fatto che pochi hanno gettato tutti nel panico. è la spiegazione più semplice di come funziona un golpe. Allora, quello che hanno fatto è questo: hanno appiccato il fuoco agli edifici di Lower Manhattan e al Pentagono, ammazzando della gente. C’era forse più d’una decina di migliaia di persone in quegli edifici e hanno fatto circa 6000 vittime. Hanno mirato al Pentagono e se avessero colpito qualche metro più in alto avrebbero eliminato lo Stato Maggiore al completo. Tutti i sistemi di sicurezza che avrebbero potuto imperdire una cosa del genere erano stati disattivati. Sono state eseguite manovre di notevole complessità. Nessun governo arabo e nessuna organizzazione terroristica araba dispone dei mezzi per fare una cosa del genere. Poteva essere fatto soltanto dall’interno della struttura di comando degli Stati Uniti. Sicuramente possono esservi stati dei complici stranieri, ma questo non è certo l’aspetto più significativo.

Che cosa implica tutto ciò? Che da una parte, dal carattere dell’episodio, si capisce che si tratta di un tentativo di golpe. Sappiamo inoltre qual era lo scopo dell’attacco: spingere gli Stati Uniti in una guerra da scontro di civiltà. Allora noi sappiamo anche chi persegue questa politica. Essa è coltivata in tre roccaforti: il comando militare di Israele, il governo Blair in Inghilterra, diversi ambienti finanziari statunitensi che fanno capo a Henry Kissinger, Zbignew Brzezinski e altri ancora. E’ un punto di vista condiviso da gente nel governo USA. Da Wolfowitz, viceministro della Difesa. Da Armitage, il numero due al Dipartimento di Stato. Gente di questo genere. Ashcroft ovviamente fa parte del gruppo. Ciò vuol dire che sono stati loro a farlo? Non necessariamente.

Un colpo di stato prende corpo come un accordo generale tra certa gente su una certa politica. Poi lì ci sono di quelli che dicono “ci pensiamo noi”. E’ così che nell’organigramma del potere ci sono i vari mister X; vestono un’uniforme o hanno un incarico importante, ma ciascuno di loro ha un doppio ruolo: è un membro dell’organigramma ufficiale del potere e aderisce al complotto golpista. Certamente, è una cospirazione in piena regola. Esistono nonostante quel che si racconti su loro. Le cospirazioni esistono: alcune sono balzane e altre sono pericolose. E’ così che, come abbiamo visto, c’è un gruppo intenzionato ad appiccare il fuoco agli Stati Uniti, per costringerli a dare tutto il loro sostegno ad Israele, al suo comando militare, per lanciare una guerra generale contro il mondo arabo, a scopo geopolitico, volta a distruggere il tentativo di cooperazione tra Europa ed Asia. Allora, non sappiamo chi sono i perpetratori, ma abbiamo visto che l’attuale governo israeliano, il primo ministro inglese Blair e altri sono allineati con questa operazione, con questa politica. E’ stato Blair a far approvare alla NATO il ricorso all’articolo 5, altrimenti non sarebbe passato. L’intera operazione serviva a ricattare e terrorizzare il Presidente ed altri nel governo USA affinché finissero per bombardare l’Afghanistan, che è una scemenza. Per questo è stato necessario molto sostegno dei media, impegnati a indurre la popolazione all’isteria, cercando di esasperarla quasi fino al punto di farle gridare di bombardare tutto ciò che è arabo. Questa allora è la situazione, come si vede quando tra Bush e Blair si arriva ai ferri corti, come è successo negli ultimi giorni. Bush diceva: “occorre fondare uno stato palestinese”, ma Blair ha detto “no”, Sharon ha detto “no” e il comando militare israeliano ha aggiunto: “Noi facciamo un eccidio”. Adesso il carattere del golpe si comincia a intravedere.

Come affrontare una crisi del genere? Come si reagisce a questo stato di cose? Ci mettiamo a cercare chi ha davvero pianificato il golpe? In tal modo non si otterrebbero risultati seri perché dando la caccia a qualcuno non si affronta il problema reale. E’ più opportuno chiedersi se c’è un modo per vanificare lo scopo del golpe. Certo, se la gente non accetta ciò che il golpe comporta allora questo non funziona. Un colpo di stato dipende dalla predisposizione della gente ad accettare il fait accompli. Come si ristabilisce allora la legalità? Occorrono misure che affrontino il problema direttamente. Queste sono il ricorso al principio dello stato nazionale affinché s’instauri la cooperazione in Asia ed Europa partendo dagli accordi economici di base e problemi connessi, a cui si ottenga la cooperazione degli Stati Uniti e di altri. Se le nazioni eurasiatiche dicono “noi non ci stiamo” allora è certo che non accadrà niente. Io mi stò preoccupando di fare in modo che gli Stati Uniti dicano che non deve accadere. Se le cose si mettono bene e il golpe non funzionerà, allora ci resta ancora da affrontare il problema reale, che è la crisi finanziaria e monetaria, lavorando alla proposta, avanzata sia da me che da altri, di convocare una nuova Bretton Woods. D’altro canto l’idea del Ponte di Sviluppo Eurasiatico è una maniera molto specifica per creare una politica economica che sia favorevole alla convocazione di una Nuova Bretton Woods. è un’esigenza sin troppo ovvia: l’Europa occidentale ad esempio non può sopravvivere economicamente nelle condizioni attuali. L’Europa non potrà certamente sopravvivere se non riesce a rilanciare le esportazioni, portando i suoi prodotti tecnologici soprattutto in Asia. A tale proposito occorre lo sviluppo economico dell’Eurasia, e ciò ripropone il problema delle trasformazioni del modo di pensare in quella parte del mondo. Quali sono i principi e le idee di cui occorre disporre, che sono validi per una vera cooperazione e non solo per gli scambi commerciali? Occorre un dialogo sulla concezione dell’uomo, un dialogo tra le culture, ma non un dibattito nel contesto del Pantheon, occorre piuttosto un dialogo delle culture sulla natura dell’uomo. L’obiettivo minimo sarebbe quello di stabilire lo stesso principio enunciato nel «De concordantia catholica» del Cusano, principio che fu articolato successivamente anche dal Segretario di Stato USA John Quincy Adams: una comunità di stati nazionali sovrani, una comunità di principio. Si tratta di un principio che affonda le sue radici nella natura dell’uomo: è il principio del bene comune. Occorre pertanto che tra cristiani e varie correnti cinesi, giapponesi, indiane ecc. si raggiunga un accordo sul principio della natura dell’uomo che a sua volta ci consenta di definire un accordo sulla necessità del bene comune. A tale scopo la legge positiva, quella alla base dei trattati, non basta. Dev’essere una legge semplicissima. La nozione del bene comune dev’essere intesa in maniera tale per cui ogni volta che occorre arrivare ad una deliberazione si cercherà di rispondere alla domanda: ma qual è in questo caso il bene comune? E lo scopo generale è ricostituire l’unità di questo pianeta. Sin da quando ci è dato sapere, i gruppi di esseri umani si sono uccisi l’un l’altro. Chi condivide la tradizione empirica sostiene che sarà sempre così. Invece io, contrariamente a Bertrand Russell, sono convinto che con lo sviluppo delle armi nucleari abbiamo raggiunto una situazione in cui dobbiamo riconoscere che la guerra ha un limite. Come si raggiunge questo limite? Basta riconoscere che la soluzione non sta nella costruzione di un Pantheon, come suggerirono Bertrand Russell e compagnia. Non sta nel trasformare l’umanità in un zoo, ma nel trovare un principio giuridico veramente comune. Una legge che ci sia chiarita dalla natura stessa, dalla natura dell’uomo. L’uomo è un essere cognitivo, capace, a differenza degli animali, di scoprire i principii, trasformare la natura e il rapporto dell’uomo stesso con la natura. La comunicazione delle idee che riguardano le scoperte, sia nella scienza che nell’arte, e la loro trasmissione da una generazione all’altra; questa deve essere la legge comune. Credo inoltre che sia anche l’unica speranza. Dobbiamo operare per comprendere che c’è un limite alla guerra. La società ha raggiunto il punto in cui la guerra sarà tanto terribile da non poter essere combattuta. Occorre quindi pensare tenendo ben conto di questa realtà. Siamo giunti a un punto della storia in cui si cerca di spronfondare l’umanità in un’epoca buia, e questo è ciò che accadrà se prevalgono le idee di un Brzezinski. Occorre invece stabilire un dialogo delle culture, come ho indicato, sulla questione pratica di mettere insieme le nazioni eurasiatiche affinché cooperino per risolvere questa crisi. E coinvolgere in questo processo l’Africa e le Americhe. Un successo in questa direzione sarebbe forse il più grande di tutta la storia politica, perché avremmo condotto l’umanità nella sua età adulta.