Se la visione dell’attuale politica mondiale si limita alla macchina da guerra psicologica nota come i “media mainstream”, si potrebbe concludere che 1) Putin è il male e la Russia è isolata; 2) la Russia sta perdendo la guerra “ibrida” o dell’informazione, oltre al conflitto militare e 3) la maggior parte del mondo lo sa e sta agendo di conseguenza.
Questa linea viene promossa da Politico, la rivista di Washington che gongola per il presunto isolamento dell’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov (foto), descritto come “uno degli uomini più soli di Washington”, con poco o nessun contatto con i funzionari statunitensi e un personale dell’ambasciata in calo a causa delle espulsioni. A malincuore Politico nota che ha partecipato alla conferenza dello Schiller Institute del 9 aprile sulla necessità di costruire una nuova architettura globale di sicurezza e sviluppo, con un link agli atti.
Tuttavia, l’edizione del 16 aprile dell’Economist, portavoce della City di Londra e degli insider dell’intelligence britannica, ha dovuto ammettere con riluttanza il declino dell’influenza dell’Occidente e in particolare degli Stati Uniti. Nonostante i falsi assiomi incorporati, l’articolo (dal titolo “Cosa c’è in gioco in Ucraina”) rivela il profondo senso di panico che attanaglia l’oligarchia transatlantica, la quale ha deciso di giocare il tutto per tutto per imporre un cambio di regime a Mosca.
L’unità di intelligence della rivista analizza il voto all’ONU che condanna l’operazione militare russa in Ucraina e giunge alla conclusione che in realtà è l’Occidente a perdere! Solo un terzo della popolazione mondiale vive in paesi che hanno votato per condannare la Russia, la maggior parte dei quali stati occidentali o poveri totalmente dipendenti dall’Occidente. Un altro terzo vive in paesi, come l’India, l’Egitto e l’Indonesia, che sono neutrali e si sono astenuti dal voto. L’ultimo terzo vive in paesi che, secondo l’articolo, “riecheggiano” la logica russa dell’invasione. Questi ultimi vengono descritti come parte del “mondo emergente”, cioè ex colonie, i cui cittadini considerano l’Occidente “decadente, egoista ed ipocrita”.
L’Economist descrive la reazione della grande maggioranza delle nazioni come “uno stupefacente rimprovero” all’Occidente, e “un cocktail velenoso di lamentele legittime e di esagerazioni, il tutto condito da un persistente risentimento contro il colonialismo”.
Molti di questi paesi stanno approfondendo i legami con la Russia e la Cina, poiché queste due nazioni si stanno muovendo verso un’alternativa al crollo del sistema finanziario occidentale, dovuto in parte alla guerra economica condotta contro di loro. Tra di essi ci sono anche l’India e l’Egitto, così come la maggior parte delle nazioni africane, che stanno cercando di aumentare i rapporti commerciali con la Russia.
Perfino in America Latina, il proverbiale “cortile di casa” di Washington, cresce la resistenza. Anche se l’Organizzazione degli Stati Americani ha votato il 21 aprile una risoluzione (sponsorizzata dagli Stati Uniti) per sospendere lo status di osservatore permanente della Russia, tra gli otto paesi che si sono astenuti ci sono i “Tre Grandi”: Argentina, Brasile e Messico.