Una fatto riconosciuto bene e da lungo tempo da chiunque abbia seguito le sorti delle politiche economiche nazionali è stato di recente “scoperto” dagli accademici, e ne parla una bozza del National Bureau of Economic Research: per ogni kW di energia ricavato dal sole o dal vento, si deve costruire un impianto di riserva per colmare le perdite dovute alla calma dei venti e alla copertura nuvolosa. La perdita di energia derivata da queste “fonti rinnovabili” non rappresenta soltanto un inconveniente per i consumatori, ma può destabilizzare l’intera rete elettrica, come ammonisce da decenni il North American Reliability Council.

Ma come dovrebbero essere questi impianti di riserva?
La vera e necessaria riserva di energia è nel gas naturale, poiché le turbine a gas possono essere avviate molto facilmente e permettono di immettere potenza nel giro di mezz’ora. Ciò non è altrimenti possibile con impianti nucleari o a carbone. Anche se ora i prezzi del gas naturale sono tenuti bassi artificialmente con il cosiddetto fracking, il costo della costruzione di impianti a gas a tutela di quelli eolici e fotovoltaici, che costituiscono un raddoppio ridondante di capacità produttiva, non è contabilizzato quando si stimano i costi dei settori “a buon prezzo” dell’eolico e del solare. Ecco un esempio eloquente di come si fa a fingere l’economicità degli impianti ecologici.

L’ironia della sorte non è sfuggita a tutti gli ambientalisti, alcuni dei quali lamentano che l’aver sostituito le centrali “pulite” solari o eoliche con impianti a gas abbia aumentato le emissioni di diossido di carbonio (CO2). Lo studio raccomanda espressamente che gli impianti detti di “back-up” siano costruiti per evitare perdite di potenza e la destabilizzazione della rete elettrica.