Il 2 aprile Donald Trump ha annunciato dazi sulle importazioni da tutte le nazioni, tra cui uno del 20% sulle importazioni dall’Unione Europea e uno del 34% sulle importazioni dalla Cina. Gli osservatori più attenti ritengono che ciò sia coerente con la volontà del leader americano di disarticolare il sistema di globalizzazione imperniato sull’Organizzazione Mondiale del Commercio e come mezzo per costringere i partner commerciali al tavolo dei negoziati. I sostenitori della globalizzazione e il “Deep State International”, invece, accusano Trump di causare una recessione e di aver scatenato l’Armageddon, segnalato dal crollo dei mercati azionari mondiali e dall’incombente guerra commerciale.
(Tanto per mettere in prospettiva i toni catastrofisti dei media mainstream prima di procedere: se si guardano le cifre, uno scenario plausibile mostra che i dazi del 20% sulle esportazioni dell’UE avrebbero un impatto solo dello 0,3-0,4% circa sul PIL di Paesi esportatori come Germania e Italia, secondo i calcoli dell’economista Michele Geraci (foto). Questo, a patto che non ci sia un’escalation).
Premesso che il mercato azionario era destinato a crollare prima o poi, poiché i valori azionari erano estremamente gonfiati, Trump ha un piano che, a suo avviso, ricostruirà la base industriale americana. E questa è la vera paura dei suoi nemici tra le élite liberali globali: che il sistema che hanno accuratamente costruito negli ultimi decenni e su cui si basa il loro potere venga distrutto. Trump probabilmente pensa di riuscire a sistemare le relazioni commerciali prima che gli crolli tutto addosso, ma se perde la scommessa si apre uno scenario dai risvolti imprevedibili.
La deindustrializzazione degli Stati Uniti – così come di molti Paesi europei – ha fatto balzi da gigante con la liberalizzazione degli scambi, prima con il NAFTA (il trattato con il Messico) nel 1994, seguito dalla creazione del WTO (Organizzazione mondale per il commercio) nel 1995 e successivamente all’ingresso della Cina nello stesso nel 2000. Queste mosse hanno aperto i mercati statunitensi ed europei a merci a basso costo provenienti da Paesi con salari bassi, costringendo le industrie locali a chiudere o a esternalizzare. Un anno dopo la firma del NAFTA, il deficit commerciale degli Stati Uniti con il Messico è passato da 1,7 miliardi di dollari a 24 miliardi; un anno dopo la creazione del WTO, il deficit commerciale degli Stati Uniti era aumentato del 44%. Dopo l’adesione della Cina al WTO, il deficit con la Cina è passato dagli 83 miliardi di dollari del 2001 ai 273 miliardi del 2010!
Due attori chiave nella liberalizzazione del commercio mondiale hanno liberalizzato anche il sistema finanziario con l’abolizione definitiva del famoso Glass-Steagall Act: Larry Summers e Robert Rubin, entrambi funzionari dell’amministrazione Clinton.
Detto questo, la questione è se Donald Trump stia facendo la cosa giusta. Ovvero, se una mossa unilaterale, attuata in un modo che viene percepito come ostile, sia il mezzo per sistemare le cose. La presidentessa dello Schiller Institute, Helga Zepp LaRouche, ha affrontato il tema in un articolo del 7 aprile per l’emittente cinese CGTN.