Ogni giorno che passa diventa sempre più chiaro che il gruppo di nazioni europee guidato dalla Gran Bretagna non vuole che la guerra in Ucraina finisca. Questo è l’unico scopo della “coalizione dei volenterosi”, che il primo ministro britannico Keir Starmer e il presidente francese Emmanuel Macron stanno cercando di organizzare sotto il nome orwelliano di “forza di pace”. L’idea stessa che le truppe europee possano mettere gli stivali sul terreno in Ucraina dopo un accordo di cessate il fuoco, sotto qualsiasi bandiera, è totalmente priva di fondamento. Né la NATO, né l’UE potrebbero essere coinvolte come istituzioni. Gli Stati Uniti, l’Italia e altre nazioni hanno espresso la loro opposizione. Pertanto, i proclami di Starmer e Macron suonano vuoti come quelli fatti da Anthony Eden e Guy Mollet durante la crisi del Canale di Suez nel 1956.
La “coalizione” stessa stenta a materializzarsi. Né l’incontro di Macron dell’11 marzo con 30 capi militari di altrettanti Paesi, tra cui la Turchia, né un incontro analogo convocato da Starmer a Londra una settimana dopo, hanno portato a risultati concreti. Più eloquente è il fatto che alcuni di questi Paesi, tra cui Italia, Portogallo, Spagna e persino Francia, ritardino a consegnare gli aiuti militari promessi all’Ucraina, il che significa che si stanno adattando alle “cose che verranno”!
Tuttavia, i governi britannico e francese, insieme all’ammucchiata parlamentare tedesca e alla Commissione europea, continuano a soffiare sul fuoco della guerra. Per chi ne è scettico, basti leggere le dichiarazioni del capo dell’intelligence militare tedesca (BND) Bruno Kahl, che ha candidamente ammesso che la sua fazione vuole che la guerra in Ucraina continui. In un’intervista rilasciata a Deutsche Welle (https://www.dw.com/de/kahl-schutz-der-ukraine-gemeinsame-aufgabe-des-westens/video-71864739), Kahl ha dichiarato che “una fine anticipata della guerra in Ucraina permetterà ai russi di utilizzare la loro energia dove effettivamente vogliono, cioè contro l’Europa”. Si noti che l’influenza dell’intelligence britannica sul BND è nota fin dalla creazione di quest’ultimo nel secondo dopoguerra.
La narrazione secondo cui la Russia si preparerebbe ad invadere l’Europa occidentale è credibile quanto la fedeltà coniugale di Elena di Troia. Tuttavia, essa viene utilizzata per giustificare il passaggio a una modalità di economia di guerra in Europa. Le radici di questo passaggio risiedono nello stato di bancarotta del sistema finanziario, che può sopravvivere solo con iniezioni di fondi statali. Poiché il Green Deal non ha raggiunto questo scopo, è stato rapidamente lanciato il piano “RearmEurope”, con l’obiettivo di salvare il sistema finanziario attraverso il Complesso militare-industriale, che, come è noto, fa capo a Wall Street e alla City di Londra.
In una video-intervista al blog Il Contesto di Giacomo Gabellini, Gianandrea Gaiani, direttore della rivista Difesaonline, ha descritto il piano ReArmEurope come “un programma finanziario volto a garantire un trasferimento di fondi pubblici e privati, compresi quelli dei risparmiatori, fino ai fondi di investimento, verso sistemi che alimentano l’industria della difesa”.
In effetti, il piano annunciato da Ursula von der Leyen è sorprendentemente simile a quello proposto dall’ex presidente della BCE Mario Draghi nel suo famoso Rapporto sulla competitività 2024 (https://commission.europa.eu/topics/eu-competitiveness/draghi-report_en). Entrambi chiedono di spendere 800 miliardi di euro, Draghi per gli investimenti verdi e la difesa, von der Leyen esclusivamente per la difesa.
Per facilitare il tutto, la Commissione UE ha annunciato una “Unione del Risparmio e dell’Investimento”, uno schema per scavalcare le banche tradizionali e centralizzare il credito – o il suo sostituto – sotto le strutture sovranazionali dell’UE. Non è chiaro se lo schema assumerà la forma di un nuovo debito sovrannazionale dell’UE (“Eurobond”), come raccomandato da Draghi, dal momento che ciò richiederebbe l’approvazione della Germania, o quella della creazione di una moneta digitale in euro, nella quale far confluire i risparmi privati. In questo modo si soddisferebbe il criterio di Draghi di aggirare il sistema bancario tradizionale.