Il 21 ottobre Rete No War ha tenuto una manifestazione a Roma contro la guerra genocida anglo-saudita-americana nello Yemen denunciando la complicità del governo italiano che vende armi all’Arabia Saudita. Il 29 si terrà un’altra manifestazione di protesta in Sardegna. Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo di Marinella Correggia, di Rete No War, pubblicato l’8 ottobre da Sibialiria.

All’Onu di Ginevra, impunità dei Saud e condanna della Siria. Due pesi due misure

I jet dell’Arabia saudita e alleati hanno fatto una strage fra i partecipanti a un funerale a Sana’a, la capitale dello Yemen. I morti sarebbero 140, i feriti oltre 600. Il conflitto in Yemen abbia fatto migliaia di morti civili (almeno 3.900, e quasi 7.000 feriti), per la quasi totalità frutto dei bombardamenti a guida saudita. Pochi giorni fa, il sottosegretario Onu per gli affari umanitari Stephen O’Brien ha descritto casi di terribile malnutrizione infantile nelle aree dello Yemen che la coalizione a guida saudita sottopone non solo a bombardamenti (dal 26 marzo 2015) ma anche a blocco navale. Sarebbero 370mila i bambini in stato di grave malnutrizione, perfino negli ospedali. Del resto ormai la metà dei 28 milioni di yemeniti non ha abbastanza cibo a disposizione.

Oltre al blocco navale, l’ex presidente a interim Hadi, fuggito a Riad con l’avanzata degli Houti, ha fatto spostare la banca centrale del paese da Sana’s ad Aden, ancora sotto il suo controllo. Questo significa che i salari di oltre un milione di yemeniti non sono pagati.

Cosa dovrà ancora fare l’Arabia saudita – in primo piano anche nell’alimentare la guerra in Siria rifornendo di armi e denaro gruppi estremisti – per ottenere finalmente qualche forma di sanzione, almeno morale? Lo stesso Consiglio dei diritti umani dell’Onu non riesce a condannare i petro-monarchi. Anzi, alla sua ultima sessione, la 33esima, l’Unione europea, per la pressione del suo alleato di ferro britannico, e per l’ignavia degli altri membri, ha ritirato una risoluzione scritta dai Paesi bassi che prevedeva una missione d’inchiesta internazionale e indipendente in Yemen su potenziali crimini di guerra compiuti nei lunghissimi mesi di guerra, dal 26 marzo 2015. C’era anche una precisa richiesta da parte dell’Alto Commissionario per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein.

Ma è stata approvata una blanda risoluzione proposta da Stati arabi, che prevede di affiancare alcuni ricercatori onusiani alla già esistente Yemeni National Commission of Inquiry, fatta in casa dai Saud e da Hadi. In pratica: impunità garantita, fin dalle indagini.

E’ un altro successo dell’Arabia saudita, che è membro di turno del Consiglio dei diritti umani malgrado le numerose richieste di sospensione. I Saud negoziavano a Ginevra il testo della risoluzione Yemen mentre continuavano a bombardare il paese, con svariati morti civili negli ultimi giorni, nell’area di Hudaydah.

Tutt’altra musica, a Ginevra negli stessi giorni, sulla Siria. La risoluzione 30, preparata da Arabia saudita, Qatar, Turchia, Regno Unito, Usa, Francia, Germania, Italia, Giordania, Kuwait, Marocco (in pratica i membri del famigerato gruppo “Amici della Siria” nato nel 2012), è stata approvata dal Consiglio il 30 settembre. Chiaramente sbilanciata a favore dell’opposizione armata (con esclusione di Daesh), ha convocato per la prossima sessione del Consiglio un panel che si dovrebbe focalizzare sull’accountability, ovvero come farla pagare a Damasco e forse alla Russia.

E’ comunque significativo che, malgrado il diluvio di accuse provenienti da Ong di Aleppo Est, e malgrado il ricatto britannico in sede di dibattito, più paesi membri del solito abbiano votato contro la risoluzione o si siano astenuti. I membri di turno del Consiglio dei diritti umani sono 48. I no sono stati sette (Algeria, Bolivia, Burundi, Cina, Cuba, Russia, Venezuela), in genere invocando meno parzialità nelle fonti delle denunce e la fine ingerenze armate a fianco dei gruppi combattenti. Gli astenuti 14: Congo, Bangladesh, Ecuador, Etiopia, Filippine, India, Indonesia, Kenya, Kirghizistan, Namibia, Nigeria, Sudafrica, Togo, Vietnam. Tutti i paesi dell’asse Nato/Golfo hanno invece votato sì.

Marinella Correggia