Negli ambienti finanziari si parla sempre più dell’imminenza di un crollo dei titoli finanziari. Lo chiamano un “Minsky Moment”, a indicare un crollo improvviso e significativo dei valori dei titoli finanziari (asset) al termine di una lunga fase di crescita. La rete dei banchieri e degli “esperti” finanziari al servizio della lobby dei cambiamenti climatici, come Mark Carney o Michael Bloomberg, vorrebbero farci credere che stavolta il fattore scatenante sarà un crollo dei valori gonfiati delle riserve di combustibile fossile, che loro stessi pianificano di svalutare con una guerra finanziaria e propagandistica contro gli investimenti in quel settore. Ma il vero colpevole è la grande abbuffata speculativa dell’economia finanziaria.
In questo senso, Lance Roberts ha contribuito a fare chiarezza sulla teoria di Hyman Minsky in un recente articolo su Zero Hedge. Roberts fa notare che Minsky riteneva che responsabile non sarebbe stata l’inflazione o la sopravvalutazione dei prezzi degli input della produzione (compresi i salari), ma che piuttosto “gli eccessi generati da attività speculative spregiudicate lungo estesi periodi di speculazione al rialzo, se questi durano abbastanza, condurranno successivamente ad una crisi. E più la speculazione si protrae, più grave sarà la crisi”.
Roberts cita un libro pubblicato nel 2009 dal docente dell’Università Johns Hopkins Robert Barbera, intitolato “Il costo del capitalismo”, che analizza i cinque grandi crolli succedutisi dal 1991: la recessione degli anni Novanta (“ampiamente provocata dalla crisi delle casse di risparmio americane”), il crollo di “Japan Inc.” dopo il crac azionario del 1990, la crisi asiatica della metà di quel decennio, il fenomenale ciclo boom/bust dei titoli tecnologici all’inizio del millennio e l’ascesa e il crollo senza precedenti dell’immobiliare residenziale nel 2007-2008.
“Tutti e cinque gli episodi portarono a recessioni globali o regionali”, ha scritto Barbera. “In nessun caso v’era stata prima un’accelerazione significativa dei prezzi generali e dei salari. In tutti i casi, un boom di investimenti e una crescita dei titoli relativi avevano portato a valori improbabili, per poi collassare. Dal 1945 al 1985 non si ebbero recessioni causate dall’instabilità degli investimenti spinti dalla speculazione finanziaria – e dal 1985, non se n’è avuta una che non sia stata causata da questi fattori”.
Ciò indica chiaramente gli effetti disastrosi dell’abbandono del sistema di Bretton Woods, quindi della separazione tra banche commerciali e d’affari, nota negli Stati Uniti come legge Glass-Steagall, ma de facto applicata in varie forme anche nella maggior parte dei Paesi europei. Oggi è urgente ripristinare quella separazione per preservare l’economia reale e i livelli di vita, lasciando che il sistema speculativo affondi. Questa è la prima delle “quattro leggi” proposte da Lyndon LaRouche.
Nonostante all’indomani della crisi del 2007-2008 il ripristino della Glass-Steagall, sollecitato dallo Schiller Institute, divenne una richiesta diffusa, i governi e le autorità finanziarie non hanno preso alcuna misura per impedire una nuova disfatta. Perciò, il nuovo crac, per quanto la “bolla verde” tenti di impedirlo, è inevitabile.