Dopo aver condotto una campagna sulla Brexit, Boris Johnson (nella foto con Antonio Guterres) è emerso come il grande vincitore alle elezioni politiche del 12 dicembre nel Regno Unito, infliggendo ai laburisti una pesante sconfitta. I conservatori hanno ottenuto 365 seggi, 48 in più rispetto alle ultime elezioni, e 22 in più di quelli necessari per una maggioranza, mentre i laburisti solo 203 seggi, 59 in meno rispetto alle ultime elezioni.
Quando sono stati annunciati i risultati, Johnson ha dichiarato che farà approvare il disegno di legge sul “divorzio” della Brexit entro il 31 gennaio, così mettendo fine alle “minacce di un secondo referendum che avrebbe potuto ribaltare il risultato del voto del 2016 sulla Brexit. Arriveremo alla Brexit in tempo per il 31 gennaio, senza se, senza ma e senza forse”.
Resta da vedere se il nuovo governo di Boris Johnson riuscirà a mantenere le promesse elettorali, tra le quali una svolta rispetto all’austerità dei suoi predecessori; una difesa del Sistema Sanitario Nazionale, con l’assunzione di 50.000 infermieri e 6.000 medici; un incremento delle forze dell’ordine e investimenti in infrastrutture, scienza e tecnologia.
Jeremy Corbyn aveva rivitalizzato il Partito Laburista, mettendo fine alla politica della “terza via” di Tony Blair e tornando al “vecchio laburismo” orientato alla base della classe operaia. Dopo una feroce campagna dei blairiani e dei media dell’establishment, che includeva assurde accuse di anti-semitismo, la corrente di Corbyn ha capitolato e ha fatto dietrofront sulla Brexit, provocando perdite storiche nei quartieri tradizionalmente operai, molto ostili all’UE.
Il Partito Liberal Democratico (LDP) sperava di prendere più voti assumendo una posizione risoluta contro la Brexit, ma in realtà ha perso un seggio, scendendo a 11. Il seggio perso era quello della leader scozzese del partito, Jo Swinson, che ha dovuto dimettersi.
Il problema per Johnson è che, ottenendo la Brexit, potrebbe perdere il Regno Unito. Il partito indipendentista Scottish National Party (SNP) ha ottenuto 48 dei 59 seggi spettanti alla Scozia, con un aumento di 13 seggi. La Premier scozzese Nicola Sturgeon ha dichiarato che indirà nel 2020 un secondo referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito (il primo referendum nel 2014 perse per un piccolo margine), notando che la Scozia aveva votato contro la Brexit nel 2016, e non intende uscire dall’UE come parte del Regno Unito.
Nell’Irlanda del Nord per la prima volta una combinazione di due partiti nazionalisti ha ottenuto più seggi degli unionisti. Entrambi i partiti, Sinn Fein con 7 seggi e il partito Socialdemocratico e Laburista (SDLP) con 2 seggi, chiedono la riunificazione della Repubblica d’Irlanda. Una questione delicata è quella del confine tra Irlanda del Nord e Repubblica Irlandese, il cui regime che deve essere ancora pienamente stabilito.