Il 1° gennaio Luiz Inacio “Lula” da Silva si è insediato per la terza volta alla Presidenza del Brasile, dopo due mandati dal 2003 al 2010. Poiché il predecessore Jair Bolsonaro, caduto in disgrazia, era fuggito dal Paese il 30 dicembre rifugiandosi in Florida, Lula e il suo vicepresidente Geraldo Alckmin hanno prestato giuramento in presenza dei presidenti della Camera dei deputati e del Senato. Alla cerimonia erano presenti delegazioni di centoventi paesi, tra cui capi di Stato e di governo e ministri di cinquantatré di essi.
Lula assume l’incarico in un momento di grande preoccupazione nazionale e internazionale e di polarizzazione del Brasile, quindi le sfide che lo attendono sono molte. Se riuscirà a portare avanti l’agenda di unirsi all’Argentina e promuovere la cooperazione nell’ambito dei BRICS, la sua presidenza potrebbe rimodellare i rapporti di tutta la regione. Nel discorso di insediamento Lula ha promesso di avviare una grande “ricostruzione nazionale” e di porre fine alla “distruzione” operata da Bolsonaro. Tra le priorità che ha elencato ci sono:
– Rilanciare l’integrazione iberoamericana, rafforzare la cooperazione con i BRICS, stabilire legami più stretti con le nazioni africane; rafforzare il Mercato Comune del Sud (Mercosur) e ricreare l’Unasur (l’Unione delle Nazioni Sudamericane). Mantenere un dialogo attivo non solo con i governi latinoamericani, ma anche con i governi del mondo.
– Prendersi cura dei 33 milioni di brasiliani che sono ridotti in povertà e assicurarsi che ogni cittadino abbia tre pasti al giorno. Ripristinare i servizi pubblici e i programmi contro la povertà cancellati da Bolsonaro. Ripristinare i finanziamenti per la sanità, l’istruzione, la cultura, la scienza e la tecnologia che erano stati cancellati da Bolsonaro.
– Ambientalismo: raggiungere la “zero deforestazione” dell’Amazzonia e zero emissioni di gas serra. Questa è la vulnerabilità di Lula, che espone il suo governo alle macchinazioni della mafia verde e all’agenda malthusiana del Green Reset.
– Ribaltare e condurre un’inchiesta sulla politica “genocida” di Bolsonaro sul covid, che ha provocato 36,3 milioni di casi e 694.000 decessi nel paese.