Lo Schiller Institute e la Coalizione Internazionale per la Pace (IPC) hanno lanciato una mobilitazione straordinaria per inserire il Piano Oasi per la ricostruzione e lo sviluppo della Palestina nell’agenda della conferenza straordinaria delle Nazioni Unite a New York dedicata alla soluzione dei due Stati per Israele e Palestina. In programma dal 2 al 4 giugno, la conferenza è organizzata congiuntamente da Francia e Arabia Saudita. Come ha spiegato Helga Zepp-LaRouche alla riunione dell’IPC del 2 maggio, il Piano Oasi dello Schiller Institute, ben noto ai nostri lettori, è “l’ingrediente assolutamente necessario” non solo per risolvere il problema immediato di Gaza, ma anche per creare le condizioni per una pace e una cooperazione durature nella regione.
All’inizio di marzo, l’Egitto ha presentato una proposta più limitata per la ricostruzione di Gaza, che è stata prima approvata dalle nazioni arabe e successivamente dai BRICS e che si integrerebbe con l’approccio più completo delineato nel Piano Oasi. Ma la proposta araba non può funzionare se Israele caccia effettivamente tutti i palestinesi dalla Striscia di Gaza.
Anche Ofer Bronchstein, inviato francese per gli affari israelo-palestinesi, ha presentato un piano a Macron. Bronchstein è stato ospite speciale alla riunione dell’IPC del 2 maggio. Ex consigliere del Primo Ministro israeliano Yitzhak Rabin e instancabile attivista per la pace con passaporti francese, israeliano e palestinese, Bronchstein è anche presidente del Forum internazionale per la pace. Egli ritiene che, in questo momento, l’iniziativa franco-saudita per una soluzione a due Stati abbia buone possibilità di successo. Alla domanda specifica sul Piano Oasi, ha sottolineato che, proprio come aveva capito Rabin, la questione dell’acqua è cruciale per la regione e senza un accordo su di essa “non ci sarà pace”.
Nel maggio del 2024, Ofer Bronchstein ha consegnato a Emmanuel Macron un piano di 67 pagine intitolato Peace Differently. Il piano è rimasto confidenziale fino ad alcuni giorni fa. Il 5 maggio, l’autore l’ha reso accessibile a pochi. Tra le caratteristiche più importanti, il piano include i seguenti elementi:
“Da un lato, in termini di infrastrutture: un porto marittimo, la ricostruzione dell’aeroporto, una ferrovia di 40 km per collegare il sud e il nord di Gaza, un’altra linea di 70 km tra il nord di Gaza e il sud della Cisgiordania, impianti di dissalazione e centrali elettriche. Sarà necessario ricostruire ospedali e scuole. Una zona industriale al confine tra Gaza e Israele potrebbe dare lavoro a migliaia di palestinesi. In accordo con l’Egitto, lo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio al largo dell’enclave potrebbe fornire una significativa rendita finanziaria. Si potrebbe negoziare un’espansione territoriale di Gaza (45 km²) verso il Sinai (60.000 km²) in cambio della cancellazione di parte del debito dell’Egitto.
“D’altra parte, in termini di sviluppo umano: 2 milioni di abitanti di Gaza sono vittime di trauma. Privati del proprio Stato, avranno bisogno di un sostegno solido e continuo per riprendersi e diventare cittadini piuttosto che rifugiati. Si potrebbe concedere un reddito di base di emergenza per garantire l’autonomia economica. Per un anno, la popolazione potrebbe ricevere un reddito mensile fino a quando non sarà in grado di reintegrarsi in modo produttivo. Questo piano richiederebbe ovviamente aiuti internazionali, che possiamo permetterci. I giovani di Gaza devono svolgere un ruolo centrale nella costruzione di una società resiliente, inclusiva e sostenibile.”