Dopo le due aggressive campagne sistematiche lanciate contro due importanti presidenti del gruppo dei BRICS, il sudafricano Jacob Zuma e la brasiliana Dilma Rousseff, la City di Londra e la Casa Bianca di Barack Obama aggiungono alla continua campagna di svilimento del russo Vladimir Putin anche quella ai danni del cinese Xi Jinping.

Un articolo dell’Economist dal titolo “Attenti al culto di Xi”, arriva a tracciare un paragone tra il Presidente cinese e il Mao Tse Tung del peggior periodo della Rivoluzione Culturale.

“Ma il Sig. Xi non ha bisogno di essere estremo come dovette essere Mao al fine di concentrare il potere di arrecare danni”, scrive il settimanale della City.

“Ha lottato contro il dissenso con una durezza superiore a quella riservata alla lotta contro la corruzione. È dai tempi bui del periodo che seguì le proteste di Piazza Tienanmen del 1989 che non si aveva una così repressione così generalizzata dei critici all’interno del partito. I censori della Rete sono impegnatissimi nel cancellare messaggi pubblicati sui social media da cittadini scandalizzati dallo scandalo dei vaccini. Tra questi sono finiti alcuni post che ricordano le parole usate nel 2013 dal Sig. Xi per parlare dell’attitudine del partito a governare. La polizia ha anche indagato sulla comparsa ai primi di marzo di una lettera anonima su un sito filogovernativo con cui si chiedono le dimissioni del Sig. Xi (sollevando i problemi, tra tante trasgressioni, del culto della personalità e del suo soffocamento dei media)”.

Il riferimento alla “lettera anonima”, che includeva una minaccia di morte non proprio sottile, è piuttosto indicativo. Mentre la lettera sembra esser scritta da “dissidenti” del partito comunista, essa solleva la domanda del coinvolgimento di “interessi stranieri”, cioè degli interessi dell’intelligence britannico. La recente “defezione” negli Stati Uniti di Ling Jihua, un alto ufficiale del governo di Hu Jintao di cui l’attuale governo cinese chiede l’estradizione per un processo per corruzione, ha senza dubbio fornito un bel po’ di materiale di intelligence alle agenzie americane e ai loro alleati, a proposito della situazione interna in Cina e nel suo partito comunista, un’informazione che potrebbe benissimo essere usata in una tale operazione da “quinta colonna”.

La lettera, pubblicata sulla prima pagina del Washington Post e del londinese The Guardian, proprio mentre Obama e Xi si stavano incontrando a Washington, include la seguente minaccia:

“Per la causa del partito, per la pace e la stabilità di lungo termine per la nazione, e per la sicurezza personale Sua e della Sua famiglia, Le chiediamo di dimettersi da ogni incarico”.

L’economista americano Lyndon LaRouche ha commentato che una simile minaccia proveniente da una fonte opaca “non è un elemento rispettabile” e che si tratta piuttosto di un’operazione della cerchia di Obama contro il Presidente cinese.

Un articolo di James Kynge sul Financial Times indica che ad esser presa di mira non è soltanto la personalità di Xi, ma anche la sua politica per “Una Cintura, Una Via”. L’articolo la descrive come uno strumento con cui la Cina ambisce a conquistare la supremazia marittima a livello globale e se la prende in particolare con i prestiti delle grandi “banche di politica economica” del gigante asiatico. Kynge fa riferimento a studi recenti della Grisons Peak, una banca d’affari londinese, e della Global Economic Governance Initiative dell’Università di Boston, che documentano l’espansione del credito delle banche cinesi, facendo notare con rabbia che nel 2015 la Cina ha prestato ai governi dell’America Latina 29 miliardi di dollari, mentre la Banca Mondiale e la Banca Internazionale per lo Sviluppo hanno tagliato i loro prestiti portandoli al 5 percento e al 14 percento, rispettivamente. L’articolo cita anche la preoccupazione espressa da Olin L. Wethington, consigliere dell’International Republican Institute (IRI) e membro del Council on Foreign Relations (CFR), durante un forum del Center for Strategic and International Studies (CSIS) dedicato al suddetto programma cinese, il quale aveva anticipato la pubblicazione dell’articolo sul Financial Times dichiarando che la politica infrastrutturale cinese dovrebbe essere considerata come una delle principali minacce a cui contrapporre opportune misure.