Una serie di istituti finanziarii, operatori di mercato e personaggi dell’establishment finanziario ammettono ora pubblicamente ciò che denunciamo da tempo: un crac del sistema finanziario e dell’Eurozona è inevitabile. L’incertezza è solo sui tempi e sulle dimensioni. Se vengono lanciati questi allarmi vuol dire che i potenziali danni provocati da un eventuale panico sono minori di quelli che genererà il crac. Ma per quanto alcuni siano accurati, non viene indicata una soluzione.

  • L’Institute for International Finance (IIF), la lobby delle grandi banche a Londra e Wall Street, ha stabilito che l’esposizione debitoria del settore privato è molto superiore ai livelli della Lehman e l’ha definita “molto allarmante”. Il debito è stato usato per pagare dividendi, riacquistare le azioni e finanziare le fusioni invece che per investimenti capitali.
  • Stanley Druckenmiller, un ex partner di George Soros, ha previsto un crac finanziario a breve termine a causa dell’estremo indebitamento delle imprese americane a scopi non produttivi. I fatti “apocalittici” elencati da Druckenmiller, come li definisce Zero Hedge, sono in realtà ben noti: il rapporto aumento del debito su aumento del PIL americano è passato da 2,5:1 a 4:1 in meno di dieci anni, e i profitti netti nel settore non finanziario sono entrati in territorio negativo mentre il debito netto cresce di oltre il 20% l’anno. Inoltre, “oggi il debito viene usato per l’ingegneria finanziaria, non per gli investimenti produttivi” (vedi).
  • James Bianco, capo del Bianco Research di Chicago, ha ammonito che la bolla dei titoli energetici potrebbe essere il detonatore di un crollo sistemico, tracciando il parallelo con la crisi dei subprime in un’intervista a Finanz und Wirtschaft. Dei circa tremila miliardi di “energy loans” diffusi in tutto il mondo, Bianco si chiede quali banche ne abbiano di più. “Ti diranno che non sono esposte e che non c’è problema, proprio come nel 2007, quando sostenevano che non erano esposte ai subprime“. Un altro detonatore potrebbe essere una Brexit o Grexit, che avrebbero un effetto devastante su istituti TBTF come la Deutsche Bank. La banca di Francoforte è la maggior proprietaria di derivati in Euro.
  • Moody’s ha ammonito che “anche una piccola crisi” potrebbe scatenare la crisi finale della moneta unica. In un rapporto pubblicato il 4 maggio, l’agenzia di rating ha scritto che anche se l’UE sopravvivesse ad un voto pro-Brexit, “persino una futura ‘piccola’ crisi potrebbe minacciare la sostenibilità dell’attuale sistema istituzionale, se coincidesse con uno stato d’animo pubblico negativo e con sviluppi populistici. Questo può creare l’impressione che la questione è quando, e non se, il sistema crollerà”.

Come indicano questi allarmi, un crac sistemico è inevitabile, ma c’è un mezzo per confinare i danni all’interno del sistema finanziario non produttivo, tramite una separazione preventiva delle banche secondo i principii di Glass-Steagall. Se le istituzioni di governo non lo faranno, gli interessi finanziari imporranno politiche che salvino loro la pelle e scarichino le sofferenze sulla popolazione.