Sarà solo una coincidenza il fatto che poco più di una settimana prima dell’inizio di un ciclo cruciale di colloqui strategici tra la Russia e l’Occidente, siano scoppiate violente proteste nel Kazakistan? È difficile da credere, specialmente data l’importanza strategica di questa nazione dell’Asia centrale.
Tutto è iniziato con manifestazioni chiassose, ma pacifiche, causate dall’improvviso raddoppio del prezzo del gas da autotrazione (GPL), che la maggior parte dei kazaki usa perché più economico della benzina e del diesel, dopo che il governo ha eliminato il sistema di sovvenzioni. Nel giro di due o tre giorni, sono subentrati altri gruppi, che hanno iniziato a chiedere un cambio di regime. A questi si sono aggiunti, in modo coordinato, militanti armati che si sono dati a violenze e saccheggi, dando fuoco alle auto e persino occupando il principale aeroporto. Questo inserimento di provocatori, in quelle che spesso iniziano come legittime manifestazioni contro le difficoltà economiche, segue il tipico copione occidentale per le “rivoluzioni colorate”, come quella scoppiata in Ucraina nel 2014.
I disordini hanno indotto il presidente Tokayev a chiedere al CSTO (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva composta dalle repubbliche dell’Asia Centrale e dalla Russia) di inviare truppe per sedare la violenza. Secondo le autorità, c’erano combattenti stranieri coinvolti nei disordini, che per esse sono un tentativo di colpo di stato.
Anche se in Europa si sa poco del Kazakistan, questo grande paese dell’Asia centrale potrebbe e dovrebbe svolgere un ruolo cruciale nel nuovo paradigma emergente, il che spiega perché è stato preso di mira per la destabilizzazione anche dalle solite ONG. Per cominciare, il Kazakistan condivide un lungo confine di 7.600 km con la Russia (di fatto il più lungo confine continuo tra due Paesi del mondo) ed un altro di 1.700 km con la Cina. Qualsiasi destabilizzazione genererebbe probabilmente una grande migrazione verso entrambi i Paesi, che potrebbe anche agevolare l’infiltrazione di reti terroristiche islamiche internazionali, in particolare nella provincia cinese dello Xinjiang.
Il Kazakistan ospita anche il centro di Baikonur, il principale sito di lancio spaziale della Russia, così come il principale sito russo di test missilistici a Sary-Shagan, dove viene sviluppato il sistema di difesa missilistica S-550.
In termini di risorse strategiche, è il primo produttore globale di uranio con oltre il 40% del totale mondiale. L’uranio viene lavorato in Russia, ma gran parte di esso viene poi rispedito in Kazakistan, dove i pellet di combustibile nucleare vengono prodotti in un impianto costruito dalla Cina ed utilizzati soprattutto nelle centrali nucleari cinesi. Inoltre, l’oleodotto Kazakistan-Cina, diventato pienamente operativo nel 2015, trasporta 120.000 barili di petrolio al giorno dal Mar Caspio allo Xinjiang (2.000 km), e poi a Shanghai.
Per la Nuova Via della Seta il Kazakistan è fondamentale. La principale linea ferroviaria che collega la Cina con l’Europa, che ora conta circa 4.000 viaggi all’anno, passa attraverso il Paese. I container vengono trasferiti tra i due scartamenti ferroviari presso il più grande retroporto del mondo, a Khorgos, al confine kazako con la Cina.