Nelle ultime settimane, Lyndon LaRouche è tornato più volte sull’importanza della Cupola del Brunelleschi per il Rinascimento fiorentino, e della concezione scientifica rivoluzionaria che fu alla base della sua costruzione per lanciare oggi un Nuovo Rinascimento, nelle scienze, nell’arte e nella musica.

Uno dei massimo esperti mondiali sulla Cupola del Brunelleschi fu l’architetto Lando Bartoli (Livorno 1914, Firenze 2002), che negli anni Ottanta collaborò con lo Schiller Institute e con LaRouche, ed è autore di numerosi libri sull’argomento, tra cui l’ultimo, “Architettura e musica” (Quaderni di Erba d’Arno, 1998), che riecheggia più volte ciò che LaRouche ha scritto negli ultimi 40 anni sullo stretto nesso tra musica e scienza, e tra scienza ed arte in generale, inclusa naturalmente l’architettura rinascimentale.

Nel libro Bartoli riferisce di aver condotto “un’attenta investigazione sulla Chiesa di San Salvatore al Monte a Firenze, di Simone del Pollaiolo detto Il Cronoca, definita da Michelangelo, secondo la leggenda, la Bella Villanella, e della quale possedevo un rilievo condotto usando il sistema metrico decimale”.

“Fu sufficiente costruire un reticolo con il sistema metrico del braccio fiorentino (m 0,5836) inserito in maglie reticolari rispettanti i rapporti del diapason, diapente, diatessaron, tuono, unisono ecc., per avere la dimostrazione della perfetta formulazione del programma proporzionale e armonico, secondo le istruzioni di L. B. Alberti”.

Ma Bartoli va oltre i “criteri di proporzionamento (armonico, geometrico, aritmetico)” che caratterizzano molte chiese e cappelle rinascimentali, inclusa la Cupola del Brunelleschi e la Cappella dei Pazzi. Citando Francesco Giorgi scrive “secondo che le proportioni delle voci sono armonia delle orecchie, così come quelle delle misure sono armonia degli occhi nostri”, come sottolineano Brunelleschi e Leon Battista Alberti nelle loro opere. E come dimostra la Cappella dei Pazzi, le cui mura “cantano” e fanno eco a un cantante in quanto la cappella fu costruita in base alla stessa proporzione aurea che è alla base degli intervalli musicali e della voce umana impostata secondo le regole del belcanto.

Misurando secondo questi criteri la navata, il presbiterio, l’arco trionfale ed altri spazi, Bartoli giunse alle seguenti conclusioni: “Traducendo questi numeri e rapporti in termini musicali si può definire il primo (14:14) un ‘unisono’, il secondo (1:3) un ‘diapente’ o quinta (analogo al rapporto 2:3 ratio perché la 1:3 è l’ottava di 2:3) il terzo (48:54) = 3:4 un ‘diatesseron’ o quarta”.

Andando oltre nel testo Bartoli aggiunge “Nulla potrebbe meglio dimostrare il fatto che gli artisti rinascimentali non intendevano tradurre la musica in architettura, ma, negli intervalli armonici della scala musicale, vedevano le prove udibili della bellezza dei rapporti dei piccoli numeri interi 1:2:3:4”.

Discutendo questo tema con un violoncellista e compositore italiano, Pietro Grossi, Bartoli ebbe conferma di questo anche nelle composizioni di J. S. Bach ed altri compositori “che usarono eseguire certe operazioni di composizioni musicali elaborando dal diritto il rovescio (o moto contrario), lo speculare (o allo specchio) e il rovescio dello speculare”. Un esempio è l’Arte della Fuga di Bach, ed in particolare il Contrappunto 12 dell’Arte della Fuga, con le fughe a specchio in cui ciascun intervallo di ciascuna parte viene invertito, in modo speculare.

Come scrive Bartoli, Leon Battista Alberti e Brunelleschi procedettero nello stesso modo di Bach. “Si può, trasferendo queste speculazioni alle analoghe nel campo dell’architettura, affermare che gli architetti hanno avuto sempre questa disponibilità perché le stesse armonie si conservano se contempliamo una architettura tutta intiera di fronte, se la leggiamo da sinistra verso destra, o da destra verso sinistra, se la contempliamo dall’alto verso il basso o viceversa e – insomma – usiamo le due categorie: spazio tempo che nel nostro spirito annullano quelle distinzioni che secondo la nostra sensibilità forse non sono mai esistite”.

“Dice, infatti, l’Alberti: ‘Di questi numeri si servono gli architetti non confusamente e alla mescolata, ma in modo che corrispondano e consentano da ogni banda all’armonia’”.

Un’armonia che è il motivo per cui gli edifici rinascimentali comunicano a chi li osserva un senso di bellezza e legittimità dell’universo, la stessa bellezza e armonia che comunica un’opera di Bach, Mozart, Beethoven o Verdi, e che Verdi, nella Traviata, descrive come “quell’amor che è palpito dell’universo intero”.

di Liliana Gorini, presidente di MoviSol