Nel suo articolo pubblicato su CGTN (https://news.cgtn.com/news/2025-04-07/What-could-U-S-tariff-policy-lead-to–1ClS1qKxd84/p.html), Helga Zepp-LaRouche cita la dichiarazione ufficiale della Casa Bianca sui dazi, che elenca “Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud” tra i Paesi che “sopprimono il potere di consumo interno dei propri cittadini” per aumentare artificialmente le esportazioni. Ma si tratta di realtà molto diverse, osserva Zepp-LaRouche. “Mentre la Cina ha tolto dalla povertà quasi 850 milioni di cittadini, ha sradicato la povertà assoluta, ha creato una fascia di reddito medio di 400 milioni di persone con un enorme potere d’acquisto aggregato e, oltre a questo, è diventata il motore dello sviluppo del Sud globale, la situazione della Germania è molto diversa”.
Per la Germania, la creazione dell’eurozona nel 1999 era già problematica perché integrava economie con gradi di sviluppo diseguali, e successivamente le riforme note come “Agenda 2010” nei primi anni 2000 hanno compresso i salari interni, aumentando la competitività dell’economia tedesca rispetto agli altri Paesi dell’eurozona. La Germania è quindi diventata il campione delle esportazioni mondiali, ma “molti investimenti interni, come il rinnovo delle infrastrutture di base, sono stati trascurati”. La politica energetica ha ulteriormente aggravato il problema.
La globalizzazione e l’esternalizzazione hanno avuto un impatto simile sugli Stati Uniti, sottolinea Helga Zepp-LaRouche, e se Trump vuole davvero invertire la rotta, invece di ascoltare gli ideologhi del libero mercato, dovrebbe “tornare ai sani principi dell’economia fisica: investimenti nel progresso scientifico e tecnologico, nella cooperazione spaziale internazionale e nell’innovazione in generale. Ciò significa che i sistemi scolastici degli Stati Uniti e delle nazioni europee devono essere riorganizzati per servire questo orientamento e devono essere dati incentivi per formare una forza lavoro altamente qualificata per questo scopo”.
L’alternativa alle azioni unilaterali volte a distruggere il vecchio ordine “è un approccio cooperativo, in cui le reali prospettive di sviluppo per l’Africa, l’Asia, le Americhe e l’Europa siano messe all’ordine del giorno per joint ventures e investimenti cooperativi nelle infrastrutture, nell’industria, nell’agricoltura, nella scienza, nella sanità e nella scuola, finanziati con credito pubblico”.