È stato con un tono grave che François Hollande ha reagito agli attentati di Bruxelles. Peccato che lo stesso François Hollande abbia il 6 marzo conferito la Legione d’onore al principe ereditario dell’Arabia Saudita, un Paese oggetto di avvertimenti dal 2012 da parte dei suoi servizi diplomatici e di sicurezza, per il ruolo che ha nel finanziare ed armare i movimenti jihadisti in Medio Oriente e nel resto del mondo. Noi esigiamo dunque che queste relazioni assassine siano troncate.

Nel momento in cui a Bruxelles il cieco terrore insanguina ancora una volta l’Europa e in cui si parla di un terrorismo ormai “professionale”, è utile ricordare il dossier pubblicato da Marianne (numero 11-17 marzo), sulla macabra collaborazione tra il governo di François Hollande e le correnti del wahabismo radicale in Arabia Saudita, che notoriamente finanziano i jihadisti.

Marianne punta i suoi fari sul rapporto speciale tra le autorità francesi e il principe Bandar bin Sulṭān, fino al 2013 a capo dei servizi segreti sauditi.

Tutti gli specialisti sanno come questo principe abbia usato i fondi inesauribili messigli a disposizione dalla famiglia reale saudita e dai suoi alleati occidentali, per dispiegare terroristi islamici di ogni risma contro tutto ciò che potesse rappresentare una forma progressista in Medio Oriente.

Il principe Bandar è anche sospettato, dalla Commissione del Congresso americano sugli attentati dell’11 settembre 2001, di aver partecipato attivamente nell’organizzazione di quegli attentati.

Il disonore francese

La decisione di François Hollande di conferire la Legione d’onore al principe Mohamed bin Nayef, Ministro degli Interni saudita e primo successore del Re Salman lo scorso 6 marzo, che ha fatto venire il voltastomaco alla Francia tutta intera. Questa onorificenza gli è addirittura attribuita in ragione di “tutti gli sforzi nella regione e nel mondo nella lotta contro il terrorismo e l’estremismo””.

Secondo Marianne è stato fatto di tutto per far in modo che la cerimonia passasse inosservata. Ma i sauditi, considerandosi i grandi perdenti nell’accordo che ha posto fine alle sanzioni contro l’Iran e a causa della nuova collaborazione tra Stati Uniti e Siria per terminare la guerra, hanno voluto al contrario vantarsi pubblicamente dei loro buoni rapporti con la Francia. Numerosi ministri, il capo dei servizi segreti e oltre trenta giornalisti si sono recati a Parigi per la cerimonia. Il popolo francese ha così saputo che il Sig. Hollande ha creduto opportuno impegnare due dei suoi ministri di più alto rango, Ségolène Royale e Emmanuel Macron, per accogliere la delegazione all’aeroporto e riaccompagnarla all’uscita.

Il dossier pubblicato da Marianne è davvero forte poiché ben documentato (anche di documenti ufficiali o ufficiosi del Quai d’Orsay a cui ha avuto accesso). Questi documenti permettono alla sua redazione di descrivere come Francia e Arabia Saudita si strumentalizzino a vicenda nel male. I sauditi usano i francesi per il loro sostegno nella loro guerra contro gli sciiti in Iran e in Siria, ma anche per esercitare pressioni sugli Stati Uniti e altri Paesi occidentali un po’ reticenti a seguirli nella loro avventura. La Francia, esangue a causa dell’annosa crisi finanziaria e delle politiche improduttive del recente passato, a sua volta strumentalizza la rabbia saudita contro gli americani e altri Paesi, per far cadere i miliardi dei sauditi nel proprio borsello. I miliardi, però, devono ancora materializzarsi…

Marianne rivela anche i ruoli chiavi dell’ambasciatore francese a Riad, Bertrand Besancenot, nella costruzione di tale alleanza con il principe Bandar bin Sulṭān e nell’uso delle menzogne e della manipolazione da parte di questo principe ai danni della Francia, che avrebbero nascosto l’ampiezza dei finanziamenti accordati dal regno saudita alle milizie jihadiste in Siria, in funzione anti-Assad.

La trappola islamista proviene dal Golfo

Marianne riferisce anche che l’ex Ministro degli Esteri Laurent Fabius era stato avvertito, al suo arrivo al dicastero nel 2012, dell’ampiezza del sostegno saudita e del Qatar alle milizie islamiste presso la cosiddetta opposizione al Presidente siriano.

Tra i documenti citati, una nota del direttore che elabora gli scenari per il Ministro degli Esteri, datata 15 ottobre 2012, è particolarmente illuminante:

“Opposizione siriane dall’interno: la trappola islamista proviene dal Golfo, e noi rischiamo di cadervi”.

Gli autori di questo monito avvertirono che:

“La crescente visibilità degli islamisti nell’opposizione armata [a Baššār al-Assad ] è un evidente fenomeno delle scorse settimane; […] una direzione politica dell’insurrezione… non appare con chiarezza è […] alcuni ambienti dell’opposizione dall’interno, prossimi ai coordinamenti civili, lamentano sempre più presso i loro sostenitori esterni, ivi compresi quelli occidentali, che essi privilegiano quasi sistematicamente il finanziamento, e dunque l’armamento, delle brigate islamiste”.

I gruppi islamisti, dissero, diventano:

“I vettori d’influenza dei servizi segreti degli Stati d’origine (Arabia [Saudita], Qatar)”

mentre

“i gruppi armati non islamisti, ‘laici’, pluriconfessionali, cristiani, alauiti e drusi […] estranei a questi ambienti, non beneficiano delle ricadute di questa cooperazione e si trovano ogni giorno sempre più al margine”.

Più piste sarebbero state proposte per contrastare questa dinamica d’islamizzazione: un miglior coordinamento con i nostri partner occidentali; “trattare faccia a faccia questo soggetto nel nostro dialogo politico con le potenze regionali coinvolte (Arabia [Saudita], Qatar soprattutto)”

o

“aiutare con priorità i coordinamenti politici civili”.

Nessuna di queste strade è stata percorsa.

L’intossicazione del principe Bandar fatta ai francesi

Marianne rivela anche il succo di un incontro tenutosi il 2 febbraio 2013 in Arabia Saudita, tra una delegazione francese comprendente Emmanuel Bonne, consigliere della Presidenza sull’Africa Settentrionale, sul Medio Oriente e sull’ONU, Eric Chevalier, ambasciatore in Siria, il col. Jean Claude Piccirillo, membro dello Stato Maggiore particolare del Presidente della Repubblica, e il principe Bandar bin Sulṭān, in presenza del fratello Salman bin Sulṭān, incaricato di sostenere l’opposizione armata in Siria. Questo “falco” un tempo ambasciatore saudita negli Stati Uniti (1983-2005), aveva stretto “rapporti strettissimi con i servizi di intelligence americani (CIA in testa) e con i neoconservatori dell’Amministrazione americana, in particolare con Bush padre e figlio, ma anche con Dick Cheney”.

In quella riunione durata quattro ore, Bandar illustrò i tre obiettivi assegnatigli dal Re Abdallah: “provocare la caduta di Baššār al-Assad, contenere l’Iran e marginalizzare gli hezbollah libanesi”. Rassicurò la Francia sul fatto “che la caduta del regime siriano avrebbe potuto essere molto rapida […] Baššār, per stupidità, cade nelle promesse fatue e nella violenza; […] non ha l’esperienza del padre, provato dalle esperienze rivoluzionarie e dai colpi di stato […] e i suoi mezzi sono molto più limitati di quanto scritto su carta. Ricordatevi come sopravvalutammo i mezzi militari di Saddam”.

Bandar fece poi sapere ai francesi che l’Arabia Saudita avrebbe sostenuto l’opposizione a ritmo crescente con forniture d’armi. “Noi oggi abbiamo portato 1500 tonnellate. Con l’obiettivo di breve termine di 2000 tonnellate”. Fece pressioni sugli occidentali, affinché facessero giungere armi sofisticate: “sono soprattutto le armi contraeree che fanno la differenza [Se gli americani o i francesi l’autorizzano ad adoperare questo tipo di armi] vi sarà una vera rottura sul terreno e la chiave della vittoria per la battaglia di Damasco”. Criticò l’alleato americano, cercando di portare al suo fianco la Francia: “Ho parlato con loro delle armi contraeree e della necessità di dotarne i combattenti. Che cosa non ho detto! Scandalo a Washington! Vi sono per lo meno dei dibattiti accesi interni all’Amministrazione, a questo proposito. Petraeus (il capo della CIA) mi ha detto di avere un piano con la Clinton di fornire delle armi, ma che la Casa Bianca l’ha rifiutato”.

Durante il lungo incontro, tuttavia, “Bandar assicurò di non fornire armi a movimenti affiliati con i Fratelli Musulmani [..] ma non parlò in alcun momento dei gruppi eredi di Al-Qaeda”. Si fece anche rassicurante: “Vi garantisco che una volta a Damasco i nostri ragazzi non si renderanno colpevoli di cose terribili contro i civili”!

Alla fine dell’incontro l’ambasciatore Besancenot “si felicitò della determinazione saudita di far cadere Baššār”, rifersisce Marianne. Ma mise anche in guardia le autorità francesi: “Impegnato nel mettere in opera il mandato ricevuto dal Re, il principe Bandar è soprattutto preoccupato di avvantaggiarsi nel contrasto con gli iraniani, piuttosto che di creare le condizioni di un negoziato politico favorevole all’opposizione. Resta vago sulla sicurezza delle comunità siriane e sui confini della nuova Siria”.

di Christine Bierre, Solidarité et Progrès