L’editoriale principale di Haaretz dell’8 maggio riflette un cambiamento di pensiero in atto in Israele. Intitolato “Non possiamo distogliere lo sguardo dalle immagini dei bambini uccisi a Gaza”, esso riflette la consapevolezza emergente degli orribili crimini commessi dal regime di Netanyahu, che porta finalmente alcuni a dire “Basta”. Si avverte l’angoscia in questo editoriale e nei canti delle folle crescenti di israeliani che scendono in strada, chiedendo non solo un accordo per liberare gli ostaggi rimasti, ma la fine della guerra, la fine delle azioni omicide guidate dalla psicosi dei suprematisti del regime e la fine del regime stesso.
L’editoriale accusa l’opinione pubblica e i media di negare deliberatamente la morte di massa dei civili, soprattutto dei bambini. Gli israeliani, sostiene l’editoriale, “continuano a giustificare una guerra che da tempo era diventata un incontrollato impulso di vendetta”, basandosi su “repressione, negazione, apatia, distanza, normalizzazione e giustificazione”. Con oltre 52.000 palestinesi uccisi, di cui 18.000 bambini, si conclude con un appello all’azione: “Non dobbiamo distogliere lo sguardo. Dobbiamo svegliarci e gridare forte: Fermate la guerra”.
Anche l’Istituto Schiller francese ha lanciato un appello urgente il 7 maggio, intitolato “Salvare Gaza significa salvare la nostra umanità”. Dopo aver ricordato gli orrori commessi nella striscia, la dichiarazione affronta le responsabilità dell’Occidente:
“Per evitare di essere complici di questa impresa sistematica di disumanizzazione e morte che si sta svolgendo sotto i nostri occhi a Gaza, i Paesi occidentali (storici colonizzatori del Medio Oriente) devono agire il più rapidamente possibile per forzare la consegna degli aiuti umanitari [a Gaza] e impedire che si verifichi l’irreparabile. Devono anche usare ogni mezzo di pressione sul governo israeliano per fermarne la corsa omicida. Se non riusciranno a farlo, saranno condannati ad unirsi alla triste schiera delle civiltà disonorate e fallite”.
“In questo contesto, se il presidente francese Emmanuel Macron sarà coerente con l’intenzione dichiarata di riconoscere uno Stato palestinese alla conferenza delle Nazioni Unite che si terrà a giugno a New York, sarà il momento per lui di passare alla storia opponendosi alla follia omicida di Netanyahu e dimostrando che, contro ogni pretesa contraria, esiste una comunità di interessi tra i vari attori della regione, e in particolare tra israeliani e palestinesi, che si riduce all’elemento primario della vita: l’acqua.
“La pace sarà possibile solo sulla base dello sviluppo congiunto delle risorse idriche ed energetiche. L’allegato 3 dell’accordo di Oslo prevedeva questo orizzonte. Ma è stato disatteso perché lasciava allo Stato israeliano il controllo esclusivo. Oggi la Francia deve dare l’esempio ai Paesi del G7, riconoscendo immediatamente uno Stato palestinese basato su confini sostenibili. La sua esistenza è consustanziale all’attuazione del Piano Oasi proposto dall’Istituto Schiller.
“I Paesi occidentali, colpevoli di praticare costantemente la geopolitica del divide et impera, devono ora mobilitarsi per garantire l’evacuazione di Gaza da parte dell’esercito israeliano e l’avvio di negoziati sul diritto al ritorno dei palestinesi, la sospensione degli insediamenti in Cisgiordania e il rilascio di tutti gli ostaggi e i prigionieri di guerra. Questo approccio coerente è indispensabile. È l’unico modo per vincere la sfida di un ordine di cooperazione e sicurezza reciproca che sostituisca la barbarie”.