È troppo presto per affermare con certezza che l’amministrazione Trump abbia imboccato la strada giusta per risolvere i punti caldi a livello globale. Ma gli eventi dell’ultima settimana indicano che l’inquilino della Casa Bianca ha voltato pagina rispetto alla politica di guerra permanente di Bush-Obama-Biden, dettata dall’establishment militare-industriale della City di Londra/Wall Street, ed è seriamente intenzionato a tenere gli Stati Uniti fuori dalle guerre. È emersa una svolta diplomatica per quanto riguarda la guerra in Ucraina, il genocidio a Gaza, i rapporti con l’Iran e lo Yemen e la politica commerciale con la Cina, con grande disappunto dei neoconservatori che gestiscono i governi della regione transatlantica.
Ad esempio, la reazione di Trump all’offerta del Presidente Putin, fatta durante una conferenza stampa dopo la mezzanotte di domenica, di rinnovare i colloqui di pace con l’Ucraina è stata diretta. Putin ha dichiarato: “La Russia è pronta a colloqui senza alcuna precondizione”, proponendo di “riprendere i negoziati [a Istanbul] che non sono stati interrotti da noi”, un riferimento al messaggio di Boris Johnson dell’aprile 2022 a Zelensky, secondo il quale non doveva essere accettato l’accordo di pace concluso tra Russia e Ucraina quel mese. Trump ha quindi dichiarato che “l’Ucraina dovrebbe accettare questo accordo, IMMEDIATAMENTE”, facendo pressione su Zelensky affinché si sottragga alle richieste dei guerrafondai Starmer, Macron e Merz, che vogliono mantenere il conflitto in corso.
La visita di Trump in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti fa parte di una svolta contro la rinnovata offensiva lanciata da Netanyahu a Gaza con la dichiarata intenzione di sgomberare la popolazione palestinese. Il messaggio trasmesso con la decisione del Presidente di saltare una visita Israele nell’ambito del tour è stato recepito a Tel Aviv, ed è stato amplificato dai commenti dell’inviato speciale Witkoff e dell’ambasciatore Huckabee. Witkoff ha accusato Israele di “prolungare la guerra”, ignorando la situazione degli ostaggi. I colloqui diretti con Hamas hanno portato alla liberazione, il 12 maggio, dell’ultimo ostaggio americano detenuto a Gaza. La dichiarazione di Huckabee, secondo cui gli Stati Uniti non hanno bisogno del permesso di Israele per negoziare con gli Houthi, è stata accolta come un brusco rimprovero agli estremisti sionisti che avevano ipotizzato che Trump fosse in combutta con i fanatici della Grande Israele e con la loro intenzione di fare pulizia etnica dei palestinesi. Netanyahu si è detto furioso per il fatto che Trump ha respinto la sua richiesta di sostegno USA per un attacco all’Iran.
Allo stesso modo, i colloqui commerciali tra il Segretario al Tesoro Bessent e il vicepremier cinese He Lifeng hanno portato a un accordo per ridurre per tre mesi dal 145% al 30% i dazi reciproci. Bessent ha dichiarato che i colloqui continueranno, poiché “nessuna delle due parti vuole uno sganciamento”.
Questi sviluppi si scontreranno con i pesanti venti contrari di quelle forze dell’establishment che usano rivoluzioni colorate, colpi di stato e guerre per preservare l’ordine unipolare a vantaggio di interessi particolari. Per queste forze, l’emergere di una nuova architettura economica, basata su un sistema multipolare o multinodale favorito dai Paesi membri dei BRICS, dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e del Sud globale in generale è una minaccia esistenziale.
Se Trump intende davvero essere un Presidente per la pace, deve rendersi conto che per sconfiggere i partiti favorevoli alla guerra è necessario un programma di cooperazione tra nazioni sovrane, un’alternativa vincente al saccheggio imperiale del sistema coloniale degli ultimi cinquecento anni. Gli eventi delle prossime settimane mostreranno se quella che sembra essere una svolta vincente dal Presidente americano riuscirà a porre fine alle guerre iniziate e sostenute dai suoi predecessori alla Casa Bianca, che ora sono sostenute dai deliranti leader della NATO e dell’Unione Europea.