Quello che era cominciato con una banca relativamente piccola in California e non avrebbe dovuto rappresentare alcuna minaccia per il sistema finanziario, si è trasmesso ad un istituto “sistemicamente rilevante” come Credit Suisse, dimostrando di essere esattamente ciò che avevamo ammonito: un precursore del collasso finanziario globale. Aggravata da quindici anni di espansione monetaria, la bolla globale del debito è cresciuta e l’aumento dei tassi di interesse, giustificato dalla presunta lotta all’inflazione, ha innescato una potenziale reazione a catena di fallimenti bancari.
E come avevamo previsto, le banche centrali si sono affannate ad iniettare liquidità nel sistema, al diavolo la stretta monetaria. Gli oltre 700 miliardi di dollari distribuiti dalle banche centrali la scorsa settimana non basteranno a coprire il buco che si allarga, mentre il contagio si diffonde nel sistema.
Come conseguenza della fine di Credit Suisse, il mercato delle obbligazioni subordinate, i cosiddetti titoli AT1 (Additional-Tier 1) o “co-co” (contingent-convertible) è entrato in fibrillazione. Questi titoli furono creati dopo la crisi del 2008 come cuscinetto da sacrificare in caso di crisi bancaria, nella speranza di risparmiare un salvataggio alle finanze pubbliche. I possessori sono consapevoli del rischio, ma sono attratti dalla rendita elevata.
Ben più grande del mercato AT1 (circa 275 miliardi di dollari) è quello dei derivati, il cui valore nozionale si aggira sui 2 milioni di miliardi (globale). Quando le banche iniziano a fallire e si moltiplicano le insolvenze, l’effetto temuto non è quello semplice delle pedine del domino, che cadono una dopo l’altra, ma è quello di una versione finanziaria della reazione a catena termonucleare, come spiegava spesso Lyndon LaRouche. In altre parole, i titoli di debito semplici sono il detonatore, ma la bomba sono i derivati, la cui carica esplosiva è oltre un ordine di grandezza superiore a quella del debito sottostante.
Credit Suisse aveva un rapporto derivati-attivi molto alto: 28 a 1. Le sue controparti negli accordi derivati sono le megabanche americane. Ecco perché le pressioni per salvare CS sono giunte da oltre Atlantico, dove quattro banche possiedono l’89% dell’intera esposizione in derivati (173 mila miliardi di dollari). Queste banche sono (dati della fine 2022):
JP Morgan Chase: 54,3 mila miliardi di derivati e 3,3 mila miliardi di attivi – rapporto di 16 a 1;
Goldman Sachs: 51 mila miliardi di derivati a 0,5 mila miliardi di attivi – rapporto di 99 a 1:
Citibank: 46 mila miliardi di derivati e 1,7 mila miliardi di attivi – rapporto di 27 a 1;
Bank of America: 21,6 mila miliardi di derivati e 2,4 mila miliardi di attivi – rapporto di 9 a 1.
In Cina, dove secondo gli analisti occidentali il sistema bancario sarebbe dovuto crollare sotto il peso della bolla immobiliare, le banche hanno attivi per 19 mila miliardi e derivati per soli 7 mila miliardi, un rapporto di 0,4 a 1. In Cina vige la separazione tra banche commerciali e banche d’affari.

Pubblichiamo un interessante video di 7 minuti: Dennis Small, esperto economico dell’EIR, spiega come una zecca (tick) di 173.000 miliardi di dollari di derivati (solo le 4 megabanche USA) stia succhiando il sangue del povero cane dell’economia americana, mentre il rapporto tra derivati ed economia reale è ben diverso in Cina.



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