Seguendo l’esempio del Regno Unito, l’Unione Europea ha adottato sanzioni contro quaranta politici e funzionari della Bielorussia, in un’escalation dell’operazione di “cambiamento di regime” contro l’ex repubblica sovietica. Allo stesso tempo, l’intensificarsi del conflitto armato tra Azerbaijan e Armenia, al confine meridionale con la Russia, potrebbe finire col vedere schierate le truppe russe contro la Turchia, un membro della Nato. Il quadro si completa con la minaccia di sanzioni contro la Russia, il cui governo è accusato di aver tentato di avvelenare l’oppositore Navalny col famoso Novichok. Un’accusa molto discutibile, dato che è stata “confermata” dallo stesso laboratorio militare britannico di Porton Down, che aveva in precedenza attestato il presunto tentativo russo di avvelenare il disertore Skripal.
Dietro queste mosse si intravedono le reti geopolitiche associate alla City di Londra e al “complesso militare industriale” negli Stati Uniti. Queste temono chiaramente che la rielezione di Trump aumenti le chance di successo della collaborazione con la Russia finora tentata dal Presidente, ma non riuscitagli in pieno a causa del Russiagate. La proposta di Putin di un vertice dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU è sempre valida e il Presidente russo tiene regolari comunicazioni con il collega statunitense da qualche mese.
Le reti britanniche si coordinano col segretario di Stato Mike Pompeo, leader dei falchi a Washington, che durante la visita a Londra il 21 luglio scorso ha proclamato l’impegno a preservare la “relazione speciale” tra gli USA e il Regno Unito, di fronte alla elitaria Henry Jackson Society e nel corso della sua recente visita in Europa ha esortato i governi a rompere i rapporti con la Russia, mirando specialmente al gasdotto Nord Stream.