Siamo stati tra i primi a denunciare il bail-in, il cosiddetto “salvataggio interno” delle banche, applicato prima a Cipro e poi esteso dall’UE a tutti i paesi membri come procedura da applicare nella “risoluzione” delle banche. Non a caso si usa il termine “risoluzione” invece di quello tradizionale di “procedura fallimentare”, perché siamo nell’era del Too Big To Fail, e quindi le banche non falliscono.

Allora denunciammo non solo l’illegalità e l’incostituzionalità della procedura – non solo si rubano i soldi dei risparmiatori, ma si infrange il dettato costituzionale laddove questo, nella maggior parte delle nazioni moderne, tutela il risparmio. C’è una differenza fondamentale tra risparmio e investimento, che il bail-in annulla. I risparmiatori vengono considerati alla stregua degli azionisti, di chi cioè investe in strumenti che presentano un rischio che può, in certi casi, comportare la perdita del capitale.

Inoltre, mettemmo in evidenza che con la spada di damocle del bail-in sarebbe minata la fiducia nel sistema bancario, creando le condizioni per una fuga dei depositi che potrebbe dare il colpo di grazia ad un sistema che lo stesso bail-in dovrebbe salvare.

Ciò che è avvenuto in Italia con il mini bail-in di quattro banche (Banca Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti), conferma queste valutazioni e dovrebbe servire da monito per chi, a Bruxelles e Francoforte, pensa davvero di salvare le banche depredando i risparmiatori.

Il governo italiano era stato ben avvertito delle conseguenze di un prelievo forzoso o di qualsiasi forma di coinvolgimento dei risparmiatori nel salvataggio delle quattro banche. In una testimonianza di fronte alla Commissione Finanze e Tesoro del Senato il 27 ottobre, il presidente del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, Salvatore Maccarone, aveva dichiarato che il bail-in “sostanzialmente estraneo alla tradizione giuridica ed economica del sistema bancario italiano, ha bisogno di un periodo piuttosto ampio per essere metabolizzato ed opera con una rigidità che rischia di essere penalizzante per tutti gli investitori e i depositanti non garantiti.”

Maccarone, secondo la versione riportata da diversi media, avrebbe anche parlato del pericolo di “fuga dagli sportelli”, versione poi smentita dallo stesso.

Resta il fatto che il governo non ha nascosto di voler adottare il provvedimento entro la fine dell’anno, prima di essere costretto ad applicare un bail-in in piena regola come previsto dalle regole UE. Ma pur escludendo i depositi, si è deciso di espropriare gli obbligazionisti non garantiti, anche se quando furono acquistate le obbligazioni gli attuali possessori non sapevano di esserlo. Circa centomila possessori di obbligazioni subordinate hanno quindi perso un totale di 750 milioni di euro. Non pochi di loro hanno perso tutto ciò che avevano risparmiato.

L’esproprio è servito ad alleggerire quello che è il salvataggio tradizionale, che costerà al governo dai due ai quattro miliardi. Infatti, le quattro banche verranno divise in una bad bank e in quattro “bridge bank”. Nella bad bank verranno messe le perdite, mentre le bridge bank manterranno gli attivi e verranno vendute. Il tutto costa 3,5 miliardi, formalmente versati dal Fondo Interbancario, che però quei soldi non li ha. Verranno anticipati da Banca Intesa, Unicredit e UBI Banca, le quali otterranno agevolazioni fiscali per circa due miliardi.

Come ha denunciato l’Adusbef, ciò significa che contribuenti e risparmiatori pagheranno il conto finale. Si stanno valutando azioni legali per il fatto che i possessori di obbligazioni non fossero stati adeguatamente informati e non sapevano che i loro titoli sarebbero rientrati nel bail-in.

La rabbia contro le banche sta montando. I sindacati, pur difendendo i clienti, avvertono che la situazione potrebbe sfuggire al controllo. La fuga dalle obbligazioni è quasi assicurata.

Siamo ancora in tempo per evitare che il panico si diffonda con danni irreversibili sul sistema bancario. Occorre urgentemente separare le banche ordinarie, quelle che svolgono attività di raccolta e di credito, dalle banche d’investimento, e abolire le procedure di bail-in per le prime.