Il 28 marzo in Tibet è la festa che commemora la cessazione, avvenuta nel 1959, della servitù e del sistema feudale bestiale del Dalai Lama. È chiamata Giorno dell’Emancipazione dalla Servitù. All’epoca fu liberato un milione di tibetani, pari al 90 percento della popolazione.

Nel 2015 il PIL del Tibet ha superato i 15 milioni di dollari, dopo ventitre anni di crescita a due cifre. Il reddito pro capite dei residenti nelle zone rurali è cresciuto fino a 1272 dollari, il doppio di quello del 2010. Il sistema scolastico prevede quindici anni di educazione gratuita e i residenti godono di un sistema sanitario parimenti gratuito.

L’agenzia Xinhua cita un tibetano presente alla celebrazione, che ha recitato un detto dei tempi feudali: “Come servi, si devono possedere gambe di ferro, stomaci grandi come un uccello e occhi di gufo. I servi avevano sempre qualcosa da fare per i loro padroni, per questo avevano bisogno di gambe di ferro; erano sempre affamati, per questo avevano bisogno di uno stomaco piccolo; dovevano lavorare di notte, per questo avevano bisogno di occhi di gufo”.

Quelle sono le condizioni glorificate dai manifestanti, finanziati dal National Endowment for Democracy, che sostengono il Dalai Lama nel suo tentativo di riprendere il controllo su un terzo del territorio cinese (oltre al Tibet, altre province farebbero parte del “Tibet Maggiore”) e che lunedì scorso, 28 marzo, hanno protestato contro Xi Jinping in visita della Repubblica Ceca, esibendo ritratti del Dalai Lama e gettando vernice nera sulle bandiere cinesi appese in segno di benvenuto.