Il 3 marzo, mentre l’Esercito Nazionale Libico accerchiava Bengasi e ne annunciava l’imminente liberazione dalle milizie jihadiste etero-dirette, l’ambasciatore USA a Roma chiedeva un intervento straniero in Libia diretto dall’Italia, indicando anche che Roma avrebbe dovuto dispiegare cinquemila soldati. Washington avrebbe appoggiato la spedizione con l’intelligence ma non avrebbe fornito truppe, ha dichiarato John Phillips al Corriere della Sera.

La richiesta dell’ambasciatore USA riflette il fatto che l’amministrazione Obama non è proprio felice dell’avanzata delle forze libiche, che fanno capo al Parlamento riconosciuto internazionalmente di stanza a Tobruk, almeno per due motivi: primo, perché esso è appoggiato militarmente dall’Egitto e politicamente dalla Russia, e in secondo luogo perché parte dell’amministrazione vuole mantenere un ruolo per gli amici della Fratellanza Musulmana che controllano Tripoli. Il piano di Tobruk invece è quello di marciare su Tripoli non appena il Parlamento voterà la fiducia al governo frutto della mediazione dell’inviato ONU Martin Kobler.

I francesi e i britannici, responsabili del caos libico assieme agli USA, reagiscono in modo diverso. Impossibilitati a ostacolare l’avanzata dell’Esercito Nazionale, sono saliti sul carro del vincitore e fornito consiglieri militari al suo leader, il generale Khalifa Haftar.

Il desiderio non tanto nascosto della compagine anglo-franco-americana è quello di ottenere la tripartizione della Libia in un nuovo schema coloniale.

Finora il governo italiano ha respinto le pressioni di Washington. Matteo Renzi ha dichiarato domenica: “Vedo gente che dice mandiamoci 5mila uomini. È un videogioco? Ci vuole molta calma”.

Una spedizione militare italiana sarebbe una sciocchezza strategica, come hanno osservato molti esperti militari. Essa interferirebbe sia con l’agenda dell’ONU che con la campagna militare dell’Esercito Libico.

Ad esempio il gen. Leonardo Tricarico, ex capo di stato maggiore dell’aeronautica, ha stigmatizzato l’eventuale decisione “di intervenire senza richiesta di intervento da parte di un esecutivo libico, accordandosi con le tribù e le milizie dell’area di tradizionale interesse energetico italiano, ovvero la Tripolitania in cui si trova il terminal Eni di Mellitah, mentre le forze speciali francesi e inglesi sono schierate in Cirenaica a sostegno delle forze del governo di Tobruk. Una scelta di divisione del territorio per aree di influenza dal sapore neocolonialistico”.

Mentre un intervento straniero sarebbe considerato ostile da quasi tutte le fazioni libiche, una soluzione di tipo “siriano”, e cioè con truppe nazionali appoggiate da una forza alleata, come l’Egitto, è quella che può unificare il paese e sradicare il terrorismo.