Le proteste della scorsa settimana a Baltimora sono interpretate da quasi tutti i media come frutto della rabbia dei neri alla serie di episodi dubbi in cui cittadini afroamericani sono rimasti uccisi ad opera della polizia. Anche se ciò è parzialmente vero, e le uccisioni hanno scatenato una reazione comprensibilmente emotiva, non bisogna tuttavia ignorare un problema più profondo del razzismo che affligge l’America.

C’è stata una crescente brutalizzazione della vita che affligge una parte crescente della popolazione americana, tematizzata nel servizio di apertura dell’Executive Intelligence Review della scorsa settimana, con il titolo “Gli omicidi di Obama”. Lo stesso disprezzo della vita riflesso nella disumanizzazione di intere sezioni della popolazione, e non solo delle minoranze etniche ma dei poveri, dei malati e degli anziani, si specchia anche nell’ecatombe di migranti nel Mediterraneo, nei “danni collaterali” (vittime civili) nelle zone di guerra e persino nell’approccio antiscientifico che ha portato al razionamento dell’acqua per affrontare la “crisi idrica” in California.

Alla base c’è l’impegno, al livello dei decisori della politica oligarchica, di ridurre la popolazione su scala senza precedenti, con l’intenzione di eliminare chi viene considerato una “bocca inutile da sfamare”. Coloro che hanno incendiato e saccheggiato i negozi di Baltimora vivono ogni giorno l’esperienza di essere considerati tali. C’è la disperazione dei disoccupati e dei sottoccupati; di chi vive da un assegno all’altro, degli sfrattati o degli espropriati, di chi deve scegliere tra il riscaldamento invernale o la parcella del medico; di chi crede che la disfunzione del sistema significa che non c’è soluzione e che nessun politico lo difenderà e, peggio di tutto, che l’America non ha bisogno di lui e non lo vuole.

Sono questi i momenti di disperazione in cui deve emergere un leader dedito a ripristinare il “sogno americano”. Mentre il Presidente Obama non si è degnato di percorrere la breve distanza che lo separa da Baltimora, così come non si era recato a Ferguson, l’ex governatore del Maryland e probabile candidato presidenziale Martin O’Malley, egli stesso ex sindaco di Baltimora, ha interrotto un viaggio in Europa per tornare, scendere in strada e parlare con i cittadini. In tutte le sue interviste egli ha sottolineato il bisogno di porre fine all’estrema povertà e assicurare opportunità e un futuro a tutti i cittadini, non solo per “i ricchi e potenti”. In quel contesto, nella tradizione di Franklin Roosevelt e John Kennedy, O’Malley chiede il ripristino del Glass-Steagall Act e si batte contro il TPP.