Il 18 novembre un milione di persone ha manifestato pacificamente in Zimbabwe a sostegno delle Forze di Difesa che avevano assunto il potere il giorno prima. La mossa dei militari mirava a impedire un disegno orchestrato dai britannici per distruggere il partito di governo, lo Zanu-PF, guidato da reduci della lunga e aspra guerra d’indipendenza dall’Impero Britannico in quella che una volta si chiamava Rhodesia.

Lo Zimbabwe svolge un ruolo strategico in Africa. È uno dei più antichi e solidi alleati della Cina, che è anche il partner commerciale e investitore estero numero uno. Esso è anche in ottimi rapporti col Sud Africa sin dai tempi delle lotte di liberazione contro i regimi di apartheid imposti dai britannici. Un cambiamento di regime contro lo Zanu-PF potrebbe anche indebolire il Presidente Sud Africano Jacob Zuma e la sua politica favorevole alla Belt and Road.

Per questi motivi, lo Zimbabwe è da tempo nel mirino della “mafia del regime-change” in Occidente. Londra e i suoi alleati hanno portato avanti una politica di isolamento e sanzioni contro il Paese da quasi due decenni per cosiddetti motivi di diritti umani prima di decidere, nel 2015, di iniziare un “reimpegno”, cominciato con l’impegno di ripagare i debiti arretrati nei confronti dell’FMI. Da lì, il “reimpegno” è gradualmente diventato il cambiamento di regime.

Il 6 settembre 2016 Chatham House pubblicò il rapporto Le implicazioni domestiche e estere della riforma economica e dell’agenda del reimpegno dello Zimbabwe, che sottolineava il bisogno di “spoliticizzare” l’economia e le “riforme politiche” dello Zanu-PF, inclusa la nomina del successore al novantatreenne Presidente Mugabe. Due giorni dopo Alex Vines, capo dell’Africa Program a Chatham House, presentò il rapporto all’Institute of Peace a Washington (finanziato dal governo americano), con la chiara intenzione di farlo diventare la politica del governo se fosse stata eletta
Hillary Clinton.

Nell’ottobre successivo fu invitata a Chatham House l’ex Vicepresidente dello Zimbabwe Joyce Mujuru, cui erano state tolte le sanzioni che le impedivano di viaggiare dopo che aveva lasciato il partito Zanu-PF per formare lo Zimbabwe People First. Un mese dopo Chatham House ospitò una conferenza con un banco di personaggi dell’opposizione e il SAPES Trust, che è sostenuto dalla Open Society Initiative for Southern Africa di George Soros ed è stato identificato dallo Zanu-PF come un’organizzazione di “regime change”. Secondo i propri resoconti, alla conferenza si discusse il fatto che la “riforma” è bloccata dalla vecchia guardia nelle forze armate e nel partito, composta dai reduci della guerra di liberazione.

Nell’ottobre 2017, l’allora Vicepresidente Emerson Mnangagwa, che fa parte della vecchia guardia, ha informato Mugabe sugli individui nel governo e nel suo entourage che stavano collaborando con la politica di Chatham House. Ma invece di rimuovere i traditori, Mugabe ha rimosso Mnangagwe, costringendo i militari a passare all’azione.