Dopo la pubblicazione del rapporto sul clima dell’IPCC il 9 agosto, il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres è andato ben oltre i poteri conferitigli dall’organismo internazionale e ha cercato di emettere ordini perentori sulla politica economica a tutti gli stati membri: “Questo è un codice rosso per l’umanità. Questo rapporto deve suonare una campana a morto per il carbone e i combustibili fossili prima che distruggano il nostro pianeta”. Così nella sua follia il pianeta sarebbe in codice rosso e l’umanità dovrebbe essere sacrificata rinunciando al riscaldamento d’inverno, al raffreddamento d’estate ed anche all’energia industriale.
Il termine fissato da quest’ultimo rapporto sembra ora essere di 13 anni, entro i quali l’uso di questi combustibili dovrebbe essere eliminato affinché il riscaldamento non superi 1,5 gradi entro il 2040. L’IPCC sostiene che il riscaldamento di 2 gradi “sarà superato nel XXI secolo a meno che non vengano imposti drastici tagli alle emissioni nei prossimi decenni”.
Come al solito, l’IPCC propone “soluzioni” senza la possibilità di verificarle. Infatti, mentre chiede la riduzione immediata delle emissioni su larga scala, precisa che l’impatto di queste misure micidiali si vedrà al più presto tra 20-30 anni!
Il rapporto dell’IPCC (Climate Change 2021: The Physical Science Basis) introduce una nuova “curva a mazza da hockey”, che mostra una variazione di temperatura di non più di 0,25 gradi negli ultimi 2.000 anni – nessun periodo di riscaldamento medievale, nessun minimo di Maunder – seguita da un riscaldamento di 1,1 gradi circa nell’ultimo secolo; e apparentemente sostiene, con enfasi, che tutto questo riscaldamento è il risultato dell’attività umana; nessun altro fattore avrebbe svolto alcun ruolo. (https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg1/)
Tuttavia, l’IPCC ha un problema: la tabella di marcia verso l’obiettivo zero netto è bloccata da molti Paesi che non vogliono rinunciare allo sviluppo e anche dai Paesi avanzati che non vogliono rinunciare alla loro produzione di carbone.
Infatti, il vertice del G20 Energia a Napoli non è riuscito a raggiungere un accordo, con l’India che ha avanzato una controproposta, basata sulle emissioni pro capite e non su quelle totali nazionali. Mentre infatti l’India e altri Paesi in via di sviluppo hanno un’alta emissione totale di CO2, il loro tasso pro capite di 1,6 tonnellate di CO2 è meno di un terzo della media mondiale e decisamente più basso degli Stati Uniti a 17,6; Canada 15,7; Australia 14,9; Germania 10,4; Regno Unito 8,1 e Francia 6,6.
E solo 110 Paesi, il 58% dei membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), hanno presentato piani di riduzione delle emissioni, o NDC (“Nationally Determined Contributions”) alla scadenza del 30 luglio.
La responsabile delle politiche globali del WWF per il clima e l’energia Fernanda Carvalho ha denunciato che gli NDC finora presentati “ci mettono su una traiettoria verso un riscaldamento globale di 2,4° Celsius, il doppio del riscaldamento che abbiamo attualmente”, stando alla rivista ambientalista Rinnovabili.it.
Ma non solo i Paesi consumatori di carbone, come Cina, India e Sudafrica, si oppongono all’obiettivo di riduzione delle emissioni: L’Australia, il più grande produttore di carbone al mondo, sta pensando di aprire una nuova miniera di carbone nonostante le sentenze dei tribunali sollecitate dagli attivisti verdi.
E Paesi “virtuosi” come la Spagna, che hanno diligentemente seguito le linee guida dell’UE sul clima, ne subiscono ora le gravi conseguenze e chiedono a Bruxelles di rimediare al disastro. Le bollette energetiche delle famiglie (presagio di ciò che attende gli italiani) sono aumentate del 35% rispetto all’anno scorso a luglio in Spagna, spinte dagli aumenti dei prezzi per la CO2 imposti dall’UE. L’ironia è che il mix energetico della Spagna è composto per il 50% da cosiddette energie rinnovabili. Tuttavia, i picchi di domanda di elettricità possono essere soddisfatti solo dai fornitori convenzionali, che devono comprare certificati di emissione per poter operare. Il ministro della transizione verde Teresa Ribera ha scritto una lettera all’UE chiedendo che qualcosa fermi l’impennata dei prezzi dell’energia (https://www.ft.com/content/7cf9a7c1-a103-4923-bb5b-bad93d32ca39). Il governo spagnolo, tuttavia, non ha fatto nulla finora, tranne suggerire alle casalinghe di stirare gli abiti alle due del mattino.
Non si mette bene per il vertice sul clima COP26 a Glasgow il prossimo novembre. Ma non aspettatevi che la lobby del clima si arrenda. Hanno una mentalità da bunker di Hitler, poiché il futuro del loro sistema finanziario globale dipende dal Grande Reset, alias dalla Bolla Verde.