All’inizio dell’anno, il nostro sito previde che il tentativo delle banche centrali di ridurre l’espansione monetaria (tapering) avrebbe fatto saltare il sistema. Citammo l’ex economista capo della Banca per i Regolamenti Internazionali William White, che denunciò i “numerosi punti di frattura” del sistema, pronti ad esplodere in caso di riduzione della liquidità, e ricordammo la famosa “funzione di collasso” di Lyndon LaRouche. Esattamente ciò sta avvenendo con la crisi finanziaria turca.

Uno dei punti di frattura denunciati da White è il debito delle imprese. Il rublo e la lira turca sono due tra le maggiori valute sottoposte a gravi pressioni o addirittura crolli sullo sfondo di una immensa e traballante bolla globale di bassa qualità di debito delle imprese generato da un decennio di scriteriata espansione monetaria a costo zero. Dei 75 mila miliardi di dollari di debito globale delle imprese dotato di rating, più della metà è classificato spazzatura o un gradino al di sopra. L’aumento degli interessi americani (da zero a due per cento in due anni) ha invertito il flusso del “carry trade” verso i Paesi emergenti e il rafforzamento del dollaro rende quei debiti impagabili. Era chiaro da almeno un anno che questo fenomeno avrebbe spinto ingenti masse di quel debito verso l’insolvenza. Questo vale specialmente per il debito a breve termine (un anno), ammontante a 180 miliardi di dollari.

Le imprese turche hanno 337 miliardi di dollari denominati in dollari. Questo perché la Turchia, seguendo il dettame “più privato e meno stato”, ha finanziato il proprio sviluppo economico ricorrendo ai mercati finanziari internazionali invece che al credito nazionale. Infatti il debito pubblico turco è estremamente basso: meno del 30% del PIL. La lira turca scende dall’inizio dell’anno e i crolli drammatici succeduti all’annuncio delle tariffe americane ne hanno aggravato il tonfo.

La Turchia può difendersi dalle fughe di capitali e dagli attacchi speculativi se fa ricorso ai controlli sui capitali e sull’intervento statale. In parte le misure adottate dalla banca centrale hanno avuto successo, ma la lira si è ripresa decisamente quando il Qatar è giunto in soccorso con 15 miliardi di dollari. In futuro capiremo quali siano le condizioni.

Tuttavia, similmente alla crisi greca del 2008, ora sono le banche europee a tremare. Infatti, numerose grandi banche europee, specialmente spagnole e francesi, sono esposte verso la Turchia. Le banche spagnole da sole vantano crediti per ben ottanta miliardi. Che farà la BCE se scoppia una nuova crisi bancaria in Europa?

La Turchia è la punta dell’iceberg. Sono numerosi i Paesi “emergenti” le cui valute sono sotto pressione e potrebbero saltare.

Anche l’Italia è nel mirino con la fine del Quantitative Easing. La BCE era ormai diventata l’unico acquirente dei titoli italiani. La speculazione aspetta il nostro Paese al varco. Due sono le date “calde”: metà ottobre, quando dovrà essere presentata la legge di bilancio, e la fine dell’anno, quando cesseranno completamente gli acquisti della BCE. I “mercati” hanno già segnalato che se il governo pianifica un pur modesto aumento del deficit si scatenerà la speculazione. E nessuno sa che cosa accadrà quando, l’anno prossimo, dovranno essere collocati titoli per circa un quarto di triliardo. In proposito, il ministro Tria volerà in Cina dal 28 agosto al 2 settembre per cercare acquirenti di titoli del Tesoro. L’aspetto più interessante di questo viaggio è la presenza di una delegazione guidata dal sottosegretario Michele Geraci che affronterà con le controparti cinesi il discorso della partecipazione italiana alla Belt and Road, e specificamente dell’aiuto cinese nel rilancio delle infrastrutture italiane. Una proposta win-win che forse sbloccherebbe la nota riluttanza cinese a investire in titoli di stato che non siano quelli americani (vedi https://www.corriere.it/economia/18_agosto_19/al-centro-dell-europa-ecco-perche-piace-porto-trieste-9ad0d58e-a31b-11e8-afa5-13cd0513c17b.shtml).