Il 10 luglio, Le Monde e altri 40 giornali associati al Consorzio Internazionale di Giornalisti Investigativi (ICIJ) hanno pubblicato gli “Uber Files”, con rivelazioni da 124 mila e-mail e documenti consegnati dall’ex lobbista e dirigente di Uber, Mark MacGann, al quotidiano britannico The Guardian. Le carte documentano come funzionari pubblici siano stati corrotti dai dirigenti Uber per cambiare le leggi o introdurne di nuove per favorire la multinazionale.
Nello scandalo è coinvolto Emmanuel Macron che fu ministro dell’Economia nel governo di Francois Hollande (2014-2016). In Italia esso dà forza alle rivendicazioni dei tassisti, che protestano dal 5 luglio contro la delega al governo per una riforma del settore.
Macron è accusato di aver aiutato segretamente Uber nonostante che, sia il Presidente della Repubblica, che il Primo ministro e altri membri di governo, fossero contrari. Peggio: sembra addirittura che Macron avesse istruito i dirigenti di Uber su come combattere la legge Thévenoud, adottata nel 2014, che proibiva l’app di Uber. Tale app degradava la professione di tassista permettendo a chiunque avesse la patente, senza formazione professionale, di lavorare per Uber.
Le Monde riferisce che, in una riunione con i rappresentanti di Uber il 1 ottobre 2014 e in 17 incontri successivi, Macron assicurò che la multinazionale dei taxi sarebbe riuscita a deregolamentare il mercato, esercitando pressioni sull’ente anti-frode DGCCRF, che aveva l’incarico di esaminare il modello Uber, affinché chiudesse un occhio. In seguito, furono esercitate pressioni anche sul prefetto di Marsiglia, che aveva impedito ad Uber di operare nell’intero dipartimento. Tre giorni dopo un intervento da parte di Macron, il divieto fu sostituito da semplici controlli.
Il 12 luglio, parlando con due giornalisti che lo avevano messo di fronte a questi fatti, Macron ha affermato con arroganza che l’avrebbe rifatto, sostenendo che la deregolamentazione aveva creato occupazione per lavoratori non qualificati nei quartieri poveri e che comunque, quando si è insediato alla Presidenza nel 2017, egli si è mosso per regolamentare il settore.
In realtà, sia in Francia che in altri paesi d’Europa il legislatore è alle prese con la catastrofe umana creata da Uber. Gli autisti non sono dipendenti di Uber ma sono partite IVA. Come risultato, non hanno diritto a ferie, contributi pensionistici, assistenza sanitaria, ecc. Inoltre, sono gli algoritmi di Uber che decidono le tariffe e le condizioni di lavoro. Per il consumatore, quando l’autista di Uber è onesto (si sono registrati molti casi di abusi e violenze), l’algoritmo determina le tariffe sulla base della domanda: domanda alta, tariffe alte; domanda bassa, tariffe basse.
Questo fa sì che l’offerta si concentri su aree dove la domanda è alta e abbandoni quelle dove la domanda è bassa. Così viene meno la funzione fondamentale di servizio pubblico del taxi, denuncia Claudio Giudici (foto), presidente nazionale di Uritaxi e uno dei leader della delegazione che negozia con il governo. Il tassista oggi garantisce una presenza 24h/7g e copre il territorio; non può rifiutare corse brevi e ha una tariffa fissa e trasparente. Tutto ciò è messo a repentaglio dalla deregolamentazione del settore, affidata dal Parlamento al governo con una legge delega. Si sospetta, con buona ragione, che il governo Draghi stia per varare una legge per imporre l’algoritmo Uber, legge non modificabile dal Parlamento in quanto frutto di delega. I sospetti sono rafforzati dal fatto che Draghi, secondo fonti non smentite, avrebbe recentemente ricevuto l’AD di Uber, Dara Khosrowashahi, mentre si è rifiutato di ricevere i rappresentanti della categoria e che due membri dell’Istituto Bruno Leoni, che secondo le Uber Files ha ricevuto finanziamenti dalla multinazionale, sono stati nominati da Draghi come suoi consiglieri in materie economiche. I tassisti hanno per ora sospeso l’agitazione, in attesa di conoscere le sorti del governo Draghi e delle commissioni parlamentari competenti.