Udo di Fabio, ex membro della Consulta tedesca, ha dato un’interpretazione oggettiva della sentenza del 5 maggio. In un’intervista per la rivista Capital, ha dichiarato che “la sentenza sulla BCE ha scritto una pagina di storia del diritto. Per la prima volta, la Corte Costituzionale Federale ha determinato che un atto giudirico dell’Unione non si applica in Germania. La Corte Costituzionale Federale accusa la CJEU di aver superato il mandato con la decisione sul programma di acquisto titoli alla fine del 2018”.
Benché non si aspettino gravi conseguenze immediate per la BCE, esse potranno esserci nel futuro, ha detto Di Fabio, qualora la Consulta tedesca voglia obbligare il governo a muoversi contro la politica della BCE di acquisto dei titoli, ed esigerne la fine. La sentenza tedesca offre un modello anche ad altri Paesi europei che potrebbe far soffrire l'”unità” finora praticata in seno all’UE. Sarebbe opportuno avere un meccanismo “di uscita ben definito” per permettere la fine della partecipazione alla politica della BCE.
Puntualmente arriva il riscontro da Varsavia, dove il Primo ministro Mateusz Morawieck ha scritto al Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung che quella di Karlsruhe è “una delle sentenze più importanti nella storia dell’Unione Europea”. Per la prima volta viene affermato che “i trattati sono fatti dagli Stati membri e questi ultimi decidono quali siano i limiti delle competenze degli organi dell’Unione Europea”.
In Italia, mentre gli eurofili (a partire dal Presidente del Consiglio) hanno criticato la sentenza di Karlsruhe, il leader dell’opposizione Matteo Salvini ha lanciato un appello, in un’intervista per SkyTg24 il 6 maggio, per la rifondazione dell’Unione Europea su nuovi principii e per ripristinare la sovranità monetaria. “In Europa i Paesi che stanno reagendo meglio e stanno perdendo meno posti di lavoro sono quelli che possono mettere più liquidità, più denaro, più moneta nel circuito economico e nelle tasche dei cittadini”, ha detto Salvini; aggiungendo: “È chiaro che va ripensato l’intero sistema europeo e anche il diritto di emettere moneta, perché il lavoro, il benessere e le cure sanitarie vengono prima dei criteri e dei parametri europei”.
“Dovremmo anche riflettere su se il denaro è al servizio dell’uomo o se l’uomo è al servizio del denaro. Negli ultimi anni, le regole europee ci hanno detto che l’uomo è al servizio del denaro e che il denaro va somministrato col contagocce. Io credo che in un’emergenza come questa dovremmo capovolgere la questione, non per sovranismo ma per senso comune. Se è necessario stampare denaro per far mangiare la gente, dovremmo stampare denaro”.
“Ma ripeto, se solo diciannove Paesi tra i 193 membri dell’ONU non hanno una propria moneta mentre tutti gli altri ce l’hanno, dal Giappone alla Gran Bretagna, dagli Stati Uniti alla Svezia, qualcosa deve evidentemente essere rivisto radicalmente nel contesto europeo”.
Anche l’ex Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, in un intervista per Il Sole 24 Ore, ha stigmatizzato la politica della BCE e constatato che, con la sentenza di Karlsruhe, il Quantitative Easing della BCE è morto. I giudici di Karlsruhe dicono che la BCE non fa monetizzazione del debito illegale, ma fa politica economica illegittima. Questo però è insignificante. Il punto essenziale è che alla BCE “hanno operato i Picasso dell’economia, che hanno messo i liquidi al posto dei solidi, i debiti al posto del capitale, i tassi sottozero, inseguito l’inflazione come (irraggiungibile) amica, e messo la magia al posto della realtà”. E tutto ciò, nato come eccezione ma stabilitosi come prassi, va contro l’idea tedesca del “buon governo”. “Mentre noi abbiamo messo l’Unione sopra la Costituzione, la Germania ha messo la sua Costituzione sopra l’Unione”, commenta l’ex Ministro, che aggiunge: per l’Italia, “cade l’illusione di un illimitato accesso ai fondi della BCE”; fa notare inoltre che l’aver annunciato che la BCE accetterà titoli spazzatura come collaterale “non ha aiutato”. Tremonti quindi rilancia l’idea di usare il risparmio nazionale per emettere credito per gli investimenti.