Il 5 aprile, nel corso del dibattito sul decreto legge di riforma delle BCC, è stata respinta una questione pregiudiziale che proponeva di ripristinare la separazione bancaria. La pressione continua, in quanto altre due proposte di legge sono state presentate alla Camera e al Senato.

Prima del dibattito, quando il testo di riforma delle BCC era in Commissione, erano stati presentati due emendamenti, uno dal gruppo misto e l’altro dalla Lega, che chiedevano entrambi la separazione tra banche ordinarie e banche d’affari. Di fronte a una maggioranza contraria, il primo emendamento è stato ritirato, mentre il secondo è stato respinto.

Il tema è comunque stato sollevato nel dibattito in aula nella forma di questione preliminare (QP). Durante la discussione, il sen. Francesco Molinari ha contrapposto il modello della separazione alla decisione del governo di creare, con la riforma delle BCC, un’altra banca “too big to fail”, costringendo le BCC a fo ndersi in una grande holding. Il modello della BCC “è stato l’unico antidoto per contrastare lo strapotere dei grandi conglomerati finanziari e a maggior ragione oggi, in attesa di ritornare al modello di separazione che ha tenuto al riparo dagli effetti della crisi il sistema bancario, come quello canadese, che non lo ha mai abbandonato, in cui le banche commerciali (le ordinarie, che accettano depositi e fanno prestiti) e le banche d’affari (che fanno emissione e negoziano titoli) sono separate.

Il testo della QP3 presentato dal M5S recita tra l’altro: “Al contrario [di quanto sostiene il governo], a giudizio dei proponenti della presente questione pregiudiziale nonché di numerosi esperti del settore, la stabilità del sistema bancario e finanziario si realizzerebbe mediante la predisposizione e la attuazione di più rigorose norme poste al contrasto del conflitto di interesse, mediante la separazione delle banche d’investimento dalle banche commerciali, e non già mediante una forzatura verso il gigantismo che, come insegna proprio l’esperienza degli anni passati e la situazione attuale di grandi banche anche europee, non esclude affatto che si presentino seri problemi di solvibilità e volatilità del valore dei titoli, stante anche l’acuirsi dei problemi derivanti dall’esposizione complessiva in derivati”.

Sempre durante il dibattito in aula, la sen. Bottici ha affermato: “Questa manovra, con tutte le altre che andate presentando e farneticando in TV o nei salotti non porterà nessun beneficio alle persone e all’economia reale. Non è vero che queste riforme consentiranno alle banche di dare credito alle piccole imprese o alle famiglie in difficoltà. È una bugia. Il sistema bancario italiano ha bisogno di amministratori sani e di veri controlli. Bisogna dividere le banche d’affari dalle banche commerciali. Bisogna stabilire regole e sanzioni per chi truffa i risparmiatori, non aiutarli a scappare e a farla franca.”

Il comportamento del Senato, che non legifera più ma ratifica le leggi fatte dal governo o dalla Commissione Europea, è tipico della maggior parte dei parlamenti dei paesi membri dell’UE.

Tuttavia, il voto del 5 aprile è una vittoria di Pirro per il governo, perché il sistema è in bancarotta e non può essere salvato. E intanto, altre due nuove proposte di legge di separazione bancaria sono state presentate alla Camera e al Senato, portando a una dozzina il totale dei testi presentati nei due rami del Parlamento.

Quella alla Camera, N. 3647, ha come primi firmatari Giovanni Paglia e Stefano Fassina, l’ex sottosegretario che nel luglio scorso firmò un telegramma di sostegno ai senatori americani che avevano presentato un ddl per il ripristino della legge Glass-Steagall, assieme agli economisti Nino Galloni e Antonio Maria Rinaldi e al condirettore dello Strategic Alert dell’EIR Claudio Celani.

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