Il 27 giugno a Nanterre, un quartiere operaio di Parigi, il diciassettenne Nahel è stato ucciso alla guida del suo veicolo, con un colpo d’arma da fuoco, da un poliziotto, durante un controllo. L’incidente ha innescato un’esplosione di violenza nelle banlieue, con disordini durati cinque notti di seguito e 5000 auto bruciate, mille edifici danneggiati, 250 stazioni di polizia assaltate, saccheggi di negozi, supermercati, ecc.
Secondo la versione della polizia, il giovane franco-algerino è stato ucciso mentre cercava di fuggire. Ma un video filmato da un passante e confermato dagli altri passeggeri dell’auto mostra che questa si era fermata, i poliziotti si trovavano vicino al finestrino del guidatore e uno di essi ha detto: “Ti pianto una pallottola nella test”, prima che l’auto ripartisse. Ora l’inchiesta dovrà appurare i fatti. Nel frattempo, il poliziotto si trova dietro le sbarre.
Il problema, tuttavia, è più profondo. L’esplosione di violenza affonda le radici nell’incapacità della repubblica francese di affrontare il malcontento sociale che incuba da anni, evidenziato dal movimento dei Gilet Gialli, partito nel 2018, o dalla vasta protesta seguita alla riforma delle pensioni. Nel caso specifico dei quartieri popolari, dove vivono molti figli di genitori africani, i giovani non hanno ricevuto i mezzi per svilupparsi e accedere a una vita migliore. La delinquenza di massa, in particolare il traffico degli stupefacenti, è dilagante in queste aree.
Jacques Cheminade, presidente di Solidarité & Progrès, ha affrontato il tema in una dichiarazione rilasciata il primo luglio: https://larouchepub.com/pr/2023/20230702_ceninade_calls.html.
“L’esplosione di violenza nel nostro paese non giunge di sorpresa. Lo scandalo è che per tutti questi anni non è stato fatto niente per spegnere il fuoco che ardeva. I rivoltosi non solo hanno saccheggiato negozi, ma hanno anche incendiato farmacie e uffici pubblici: municipi, tribunali, biblioteche, stazioni di polizia e scuole. Hanno mirato alle fondamenta della società. In queste circostanze, la sfida non è solo ristabilire l’ordine pubblico, ma ricostruire una società che offra speranza a tutti, senza ipocrisia o ingenuità.
“Se continuiamo a sembrare preoccupati della violenza immediata e ne discutiamo, ma non la sradichiamo, le istituzioni della repubblica crolleranno”.
L’ordine repubblicano, afferma Cheminade, deve rispondere alle giuste richieste dei cittadini ed essere applicato a tutti, ricchi e poveri, senza segregazione sociale o geografica. “Per ottenere ciò, dobbiamo dichiarare uno stato di emergenza sociale, identificando chiaramente il problema: una mafia finanziaria ai vertici, che legifera contro la legge e si lega sempre più, non solo con l’uso della droga, alla mafia che opera in basso. Nell’assenza di volontà politica, questa cancrena di un nuovo capitalismo criminale distruggerà tutto e condurrà a una guerra di tutti contro tutti”.
Cheminade quindi propone concrete misure e conclude: “Di fronte ai disordini che si sono diffusi come le voci sui social media, l’unica soluzione è organizzare una politica del bene comune e del bene pubblico. La polizia e le forze armate devono servire a questo scopo, che comprende anche un’inchiesta sulla natura e i mezzi dei provocatori che hanno soffiato sul fuoco. Ma riusciremo a estinguerlo solo se ne elimineremo le cause”.