Lo scorso settembre, quando annunciò di aver licenziato John Bolton come consigliere per la sicurezza nazionale, Trump pubblicò un tweet in cui scriveva che se non l’avesse fatto, “a quest’ora saremmo già nella sesta guerra mondiale”. La battuta era perspicace.
Bolton è noto per la spiccata tendenza a chiedere soluzioni militari contro qualsiasi nazione che metta in discussione il consenso tra Londra e Washington. È sempre pronto a sacrificare le vite e le tasche degli americani per distruggere qualsiasi regime che si rifiuti di sacrificare le sue proprie per rimanere in buoni rapporti con l’impero globale della City di Londra. Fu Bolton a rifilare all’Amministrazione di Bush Jr. la bufala dell’uranio impoverito escogitata da Tony Blair e dal suo capo dell’MI6, Sir Richard Dearlove, che fu usata per giustificare la guerra contro l’Iraq. Ancora, fu Bolton a schierarsi con il Mujahedin-e-Khalq (MEK) contro l’Iran, anche se il MEK era nella lista dei terroristi stilata dal Dipartimento di Stato, e a continuare a sostenere la necessità di un cambio di regime a Teheran, quando si unì al team di sicurezza nazionale di Trump.
Bolton ha anche sabotato gli sforzi del Presidente Trump per ottenere la denuclearizzazione da parte della Corea del Nord, quando minacciò il “trattamento libico” durante il vertice Trump-Kim ad Hanoi nel febbraio 2019, sostenendo che le sanzioni non sarebbero state revocate fino a quando non vi fosse stata una denuclearizzazione completa e verificata, dichiarazione che portò a un’interruzione dei colloqui. Oggi, a seguito di quel fallimento, vi sono nuovamente scintille di guerra tra le due Coree.
Non sorprende quindi che le tanto attese memorie servano a Bolton per tentare di pareggiare i conti, trascinando Donald Trump nel fango proprio mentre la campagna elettorale del 2020 sta prendendo forma. Anche se vi sono una serie di buone ragioni per criticare le politiche di Trump, non sono quelle date da Bolton. Egli sostiene che a Trump manchi “la competenza per svolgere il lavoro” di Presidente, che viene suonato “come un violino” da Putin, e che egli fosse “disposto a barattare i nostri valori democratici più cari con la vuota promessa di un fragile accordo commerciale con la Cina”, mentre implorava il presidente Xi di aiutarlo a vincere le elezioni.
Ciò che stupisce le persone intelligenti è che a qualcuno possa davvero interessare che cosa abbia da dire Bolton. È un segno della disfunzione della politica americana che i Democratici, non essendo riusciti a destituire Trump dopo più di tre anni di accuse fasulle e un voto d’impeachment alla Camera, si uniscano ora a un famigerato guerrafondaio nel tentativo di riconquistare la Casa Bianca a novembre.
L’uscita del libro di John Bolton va considerata la Fase III del colpo di stato contro Trump. Essa giunge in un periodo di grande insicurezza del Paese, destabilizzato dalla gestione della pandemia di Covid-19, che ha tolto la vita a più di 118.000 americani (al 21 giugno), dal forte crollo dell’economia (iniziato ben prima della pandemia) e dalla violenza e dai disordini che hanno fatto seguito all’assassinio di George Floyd.
Molti Democratici che in passato correttamente attaccarono Bolton, accusandolo di essere bugiardo e criminale di guerra, sono così disperati e decisi a proteggere la dottrina geopolitica di scontro – che è stata esplicitamente contestata da Donald Trump – da attestare la credibilità di Bolton!
Questo dice meno sulla presunta “non idoneità” di Trump di quanto non dica di come i falchi guerrafondai si siano impossessati dei partiti politici, dei media e degli opinionisti mainstream, e non si fermeranno davanti a nulla per proteggere il loro sistema fallito e al collasso.