“Se continuiamo ad alzare i tassi d’interesse, ci sarà una depressione deflazionistica come negli anni 30. Oppure, ci sarà un’iperinflazione tipo Weimar se cercheremo di risolvere i problemi del debito svalutandolo. Non è più qualcosa di distante all’orizzonte, ma ce l’abbiamo proprio di fronte agli occhi”.
Questa citazione potrebbe appartenere a Lyndon LaRouche (foto), il grande economista americano scomparso quattro anni fa, ma non lo è. Viene da un analista finanziario, John Rubino, ed è datata 11 febbraio scorso.
È un’analisi familiare ai nostri lettori e, proprio una settimana fa, commentando i rialzi delle banche centrali, scrivevamo: “La riduzione di liquidità sta aprendo profondi crepacci nel sistema finanziario in bancarotta”, aggiungendo che nel momento in cui i crepacci fossero affiorati minacciosamente, le banche centrali si sarebbero affrettate ad inondare nuovamente di liquidità i mercati.
Parlando di crepacci, Credit Suisse, la seconda più grande banca svizzera ed istituto ritenuto sistemicamente rilevante (in grado, cioè, di contagiare il sistema), ha annunciato una perdita di 7,3 miliardi di franchi svizzeri (7,38 miliardi di euro) nel 2022 e, in particolare, un’emorragia di investitori nel quarto trimestre, pari a 111 miliardi di CHF. CS, le cui azioni hanno perso il 90% del valore dal 2008, rischia l’insolvenza senza un aumento di capitale.
E CS non è sola. Anche Barclays, Deutsche Bank e Citigroup hanno perso gran parte del capitale dalla crisi finanziaria del 2008, e tutte queste banche sono sistemicamente rilevanti e collegate l’una all’altra in transazioni finanziarie, crediti ed altro.
LaRouche non solo preconizzò la fine del sistema per iperinflazione o collasso, ma avvertì anche che le élite occidentali avrebbero adottato ricette economiche “schachtiane”, compresi il riarmo e la guerra, nel tentativo di salvare il sistema.
A questo proposito, ecco quanto un analista finanziario europeo ci ha detto la scorsa settimana: dietro il gran parlare di ricostruzione dell’Ucraina c’è l’idea della reflazione di guerra. Non si vuole porre fine alla guerra, ma farla continuare. La spesa bellica pomperebbe risorse in alcuni settori dell’economia con l’idea che questo creerà qualche posto di lavoro e offrirebbe al governo un po’ di entrate. Il tutto combinato con la Bolla Verde e un nuovo Quantitative Easing, presupponendo di aver domato l’inflazione, per ripagare l’impagabile debito delle imprese insolventi.
Ma, continua il nostro analista, non si riuscirà in alcun modo a coprire due milioni di miliardi di dollari di contratti derivati, non si riuscirà nemmeno a coprire il debito delle imprese e quello pubblico. E gli USA hanno un tetto al bilancio. L’Ucraina è essenzialmente fallita e ci sono circa altri quaranta paesi non in grado di pagare il servizio sul debito. Così, l’unica opzione rimasta per salvare il sistema è l’austerità massiccia, compresi tagli alla sanità, alle pensioni ecc., negli Stati Uniti e altrove. Vediamo già che il sistema sanitario nazionale in Gran Bretagna sta colando a picco.
Tutto ciò produrrà guerre che, anche se non sfociassero in una guerra nucleare, produrrebbero comunque lo spopolamento generale. A meno che non si adotti la politica suggerita da LaRouche: riorganizzazione fallimentare del sistema, credito produttivo, cooperazione internazionale e abbandono della geopolitica.