La crisi dei profughi e la paura del terrorismo costringe i leader europei a rivedere, almeno in parte, il loro sostegno
alla politica che ha generato il caos nell’Asia sud-occidentale.

  • Il 12 settembre Angela Merkel ha finalmente risposto alla proposta di Putin, affermando che l’Europa deve lavorare
    con la Russia e gli Stati Uniti “per risolvere la crisi in Siria”. Il giorno precedente, il portavoce del ministero degli
    Esteri Martin Schaefer aveva menzionato il ruolo cruciale della Russia in Siria e affermato: “Penso che accoglieremmo
    favorevolmente un ruolo attivo della Federazione Russa e del Presidente russo nella lotta contro l’ISIS”.

    Anche il leader della CSU Horst Seehofer ha affermato di essere convinto che il conflitto in Siria non possa essere
    risolto senza l’aiuto del Presidente Putin.

    Un altro segnale positivo dalla Germania è che il Dialogo di San Pietroburgo verrà ripreso in ottobre, dopo due anni di
    sospensione a causa della crisi ucraina. La notizia è stata data dal nuovo capo dell’organizzazione, Ronald Pofalla,
    considerato molto vicino a Merkel.
  • Il ministro degli esteri britannico Philip Hammond ha modificato significativamente la posizione del suo governo su
    Assad. Parlando alla Commissione esteri della Camera il 9 settembre, Hammond ha affermato che “se c’è un piano sensato
    per la transizione che comporti in qualche modo la presenza di Assad nel processo per un certo periodo di tempo, lo
    esamineremo. Non diciamo che se ne debba andare il primo giorno”.

    Il Primo ministro David Cameron, d’altro canto, continua a sbraitare che Assad se ne deve andare e che in aggiunta agli
    attacchi dei droni si potrebbe far uso della “forza militare pesante”. Egli deve però fare i conti con un’opinione pubblica
    sempre più contraria alla guerra, come mostra la strepitosa vittoria di James Corbyn nel partito laburista.
  • In Francia, il Presidente Hollande ha indicato, nella conferenza stampa del 7 settembre, una svolta politica riguardo alla Siria. Egli ha affermato che la Francia non chiede l’uscita di scena immediata di Assad come precondizione per la
    pace, e che è pronta a collaboare con “tutti i paesi che potrebbero facilitare quella soluzione politica e quella
    transizione”, compresi Russia e Iran.

    Sul tema della transizione, Hollande ha detto che “ad un certo punto dovrà avvenire la partenza di Baššār al-Assad”, un
    cambiamento significativo dalle sue ultime dichiarazioni in cui sosteneva ancora la necessità di un’uscita di scena
    immediata.

Sono passi importanti ma ancora timidi. Gli europei devono essere pronti a rompere con Washington se gli USA
insisteranno con la politica di “regime change” che è diretta contro Russia e Cina, e non si decideranno a collaborare con i
BRICS per garantire lo sviluppo economico delle regioni da dove fuggono i profughi.