La bomba alla maratona di Boston il 15 aprile che ha causato tre morti e oltre 170 feriti, la successiva caccia all’uomo eseguita secondo piani prestabiliti in caso di attacchi con armi di distruzione di massa e le lettere avvelenate spedite al Presidente Obama e a un senatore hanno ravvivato l’atmosfera dell’undici settembre, anche se il retroscena della nuova ondata terroristica non è ancora chiaro. Essa ci ha anche ricordato il sistematico smantellamento dei diritti costituzionali e le guerre costruite su falsi pretesti successivamente a quella data.

In tutti questi anni, la popolazione americana è stata terrorizzata e condizionata con infiniti servizi dei media sul bisogno di scatenare la “guerra al terrorismo” in nome della quale essa ha accettato di rinunciare a diritti civili che non avrebbero mai ceduto in tempi normali. Negli USA ci sono stati il cosiddetto “Patriot Act” del 2001, l’invasiva sorveglianza dei cittadini, l’eliminazione dei diritti costituzionalmente protetti e, dulcis in fundo, la cosiddetta National Defense Authorization Act (NDAA) di Obama nel 2012, che autorizza l’arresto di cittadini americani e stranieri senza garanzie legali e senza ordinanza giudiziaria, come pure l’uso degli attacchi con i droni eseguiti senza riguardo per le vittime civili. Tutto ciò ha drammaticamente cambiato gli USA e il resto del mondo.

Non solo la “guerra al terrorismo” si è dimostrata più pericolosa del terrorismo, ma è anche fallita. Se è vero che i due fratelli Tsarnaev furono segnalati all’FBI da un governo straniero nel 2011 e che essi sono responsabili dell’attentato di Boston, bisogna chiedersi perché l’antiterrorismo USA ha permesso che ciò accadesse. La “guerra al terrorismo” ha portato all’uso della tortura, dei droni e delle bombe, è costata miliardi di dollari, causato centinaia di migliaia di vittime e ridotto a macerie intere nazioni, eppure non è stata in grado di impedire un attentato compiuto con una bomba rudimentale.

C’è bisogno di usare altri mezzi e altre politiche, a cominciare dalla denuncia dei burattinai dietro il terrorismo internazionale. In questo contesto, è più che mai imperativo che le famose 28 pagine del rapporto della Commissione d’Inchiesta sull’undici settembre, pubblicato nel 2004, siano finalmente rese pubbliche in modo da rivelare la verità sull’attacco alle torri gemelle. Il Presidente Bush secretò quelle pagine, e Obama, rinnegando la promessa fatta in campagna elettorale, le ha tenute segrete. Il parlamentare repubblicano Walter Jones si sta adoperando assieme alle famiglie delle vittime del World Trade Center nello sforzo di convincere il presidente della Commissione sui Servizi di Intelligence a dissecretarle.

Quelle 28 pagine riguardano il coinvolgimento dell’Arabia Saudita e in particolare del principe Bandar nel sostegno alle reti di Al Qaeda responsabili dell’attacco dell’undici settembre. Bandar era ambasciatore a Washington nel 2001, e svolse un ruolo centrale nell’accordo strategico tra Riad e il conglomerato della difesa britannico BAE. Oggi Bandar è capo dei servizi sauditi e si dice che abbia stretti legami con le reti jihadiste dispiegate in Siria nell’assalto al governo di Assad, come pure legami con i gruppi responsabili dell’assassinio dell’ambasciatore Stevens a Bengasi lo scorso anno. Questo attentato, come abbiamo scritto, è molto oscuro a causa della complicità tra le forze USA e i ribelli che rovesciarono Gheddafi. Un altro parlamentare repubblicano, Frank Wolf, ha chiesto la formazione di una commissione d’inchiesta sui fatti di Bengasi e ha già raccolto le firme di 110 colleghi.

La denuncia dei controllori del terrorismo è assolutamente necessaria ma non sufficiente. Come ha sottolineato Helga Zepp-laRouche in un recente articolo, è necessaria una vera politica di sviluppo per eliminare le sacche di miseria dove proliferano il radicalismo e il terrorismo, compresa l’UE, dove la Troika calpesta da troppo tempo i diritti civili e umani della popolazione.