Nel primo pomeriggio di ieri 17 gennaio 2018, MoviSol ha distribuito copie del volantino qui sotto riprodotto, al pubblico riunito nei vari punti di accesso all’area dell’ex Azienza Municipalizzata del Comune di Modena (AMCM), ove ora sorge, in un restaurato edificio delle ex Aziende Elettriche Modenesi (AEM), un “modernissimo polo culturale” inaugurato dal Sig. Vasco Rossi nel contesto del ricevimento delle chiavi onorarie della città.

Già alcune testate confermano l’impressione che vi fossero più forze dell’ordine, addetti comunali e operatori sanitari, che seguaci e curiosi. “Nonostante gli sforzi delle autorità, che hanno predisposto [un] maxischermo” in un parcheggio trasformato in “piazza predisposta per 5.000 persone” e “servizi in grande stile” a carico dei contribuenti (citazioni da ModenaToday). Stamane un quotidiano locale ha stimato a duecento il numero di persone occupanti il parcheggio con il maxischermo.

La cittadinanza è conferita “per il contributo offerto alla musica italiana d’autore e per la promozione dell’immagine della città nel mondo”. Contrario soltanto il gruppo consigliare di Idea Popolo e Libertà.

“Caro Vasco, grazie!”, ha esordito il Sindaco Muzzarelli, per il quale il Sig. Rossi ha “fatto divertire, emozionare e pensare intere generazioni di modenesi e di italiani, interpretando le tensioni e le contraddizioni dei nostri tempi, dando voce a delusioni e speranze, a sofferenze e gioie intime, a crude esperienze di vita, di piacere e di dolore, a meravigliosi sogni ad occhi aperti”. Esistenzialismo?

Il cerimoniale è stato arricchito dei soliti superlativi da MinCulPop e dei congiuntivi mancati da parte dei cronisti e commentatori, e non è mancata la retorica postmoderna (invero ormai un po’ démodé) relativamente alla cosiddetta ‘archeologia industriale’ e al recupero di impianti un tempo dediti ai trasporti pubblici e alla produzione di energia: “Dall’industria di ieri”, ha dichiarato il Sindaco, “passiamo all’arte di oggi e di domani, per liberare energia e creatività. Dalla produzione di energia elettrica, che avveniva in questi storici edifici dell’azienda municipalizzata, passiamo a una nuova energia, l’energia creativa…”

Con alcuni passanti e poliziotti sono stati imbastiti dialoghi sulla musica, la cultura e la scienza nell’arte, nei quali è emersa la difficoltà generalizzata di riconoscere che la musica non è meramente “un fantastico modo di comunicare emozioni” e non deve essere “un formidabile strumento di aggregazione” (per citare stralci del discorso tenuto dal Sig. Rossi), bensì essa deve ritornare a costituire un modo di evocare, tramite sane emozioni, le idee che giacciono oltre il dominio dei sensi, e dunque al di sopra del flusso della storia, e che abbiamo urgente bisogno non di gregari, bensì di individui storici.

La musica richiede il senso dell’udito, ma veicola idee oltre il dominio dei sensi
(strumenti rotti ai piedi di Santa Cecilia, secondo Raffaello Sanzio)

La musica richiede il senso dell’udito, ma veicola idee oltre il dominio dei sensi (Santa Cecilia, secondo Raffaello Sanzio, quasi abbandona l’organo – strumento della polifonia sacra – perché interessata alla musica celeste, ovvero oltre il dominio dei sensi)

La nostra società, infatti, è sulla soglia di una trasformazione esistenziale e le istituzioni in primo luogo devono riconoscere che, come sostenne il grande poeta Percy Bysshe Shelley, “in questa epoca v’è un grande accumulo di potenza comunicativa e di ricezione di concezioni, intense e non affette da passioni, riguardanti l’uomo e la natura. Le persone nella quale risiede questa potenza spesso possono, per quanto è nella misura della loro natura, avere una apparente meschina corrispondenza con quello spirito di bene dei quali risultano i ministri”.

In altre parole, non si deve abusare delle tecniche comunicative, omettendo deliberatamente qualunque appello alla ragione dei cittadini, sostituendovi il consenso della vox populi. La nuova fase evolutiva offertaci dallo “spirito della Nuova Via della Seta” per la cooperazione internazionale intorno al mutuo sviluppo (win-win cooperation), infatti, non deve trovarci impreparati, incapaci di capire le massime espressioni culturali delle altre civiltà e di impartire i giusti impulsi ai nostri sistemi produttivi e istituzionali. Interessante a proposito del dialogo tra le civiltà è stata una discussione con alcuni giovani musulmani, i quali hanno confermato l’esistenza all’interno della propria cultura di una distinzione tra musica ḥarām e canti coranici, ovvero – alla spicciola – tra una musica sconveniente poiché, sollecitando ossessivamente i sensi, interferisce con la lucidità del pensiero, e una musica che favorisce l’evoluzione spirituale dell’individuo.

La difesa dell’arte classica è oggi quantomai necessaria e urgente e ce ne sentiamo altamente responsabili. In questo senso, alcune giovani voci cominciano a farsi sentire anche a proposito del curriculum scolastico brutalizzato da decenni di “riforme”, per esempio.

In rapporto con una Cina che sta rapidamente passando dalla condizione di esportatore di gadget allo stato di grande investitore nelle fondamenta economiche moderne, quali lo sviluppo sulle scale nazionale e internazionale di moderne infrastrutture di trasporto, la ricerca sulla fusione e l’esplorazione spaziale, come possiamo dunque impartire i “giusti impulsi ai nostri sistemi produttivi e istituzionali”? Non possiamo scartare il coinvolgimento popolare in certe scelte epocali.

Non è un caso che la difficile arte dello stato sia il frequente oggetto delle tragedie classiche e dell’arte operistica (rispettivamente di Shakespere e di Verdi, per esempio). Non è un caso che, pur trattando di cospirazioni e di guerre, l’arte classica non abbandoni mai il criterio schilleriano della bella esposizione, poiché, sì, tramite le emozioni, essa deve assolvere al compito di condurre a pieno sviluppo l’anima bella che ciascuno di noi è potenzialmente, affinché con responsabilità, intelligenza e coraggio possa prendere parte agli affari della nazione.

Sin dai tempi dalla progettazione teorica del rock, in saggi come “Le porte della percezione” di Aldous Huxley, i contenuti delle canzonette si tengono alla larga da queste preoccupazioni. Successivamente l’estetica ha finito per promuovere il sovvertimento stesso delle proprie basi, sottomettendosi al laido e all’orrifico, mentre tutti noi abbiamo bisogno di cambiare pagina. O, come scrisse appunto Giuseppe Verdi, “torniamo all’antico, sarà un progresso!”, per intendere che è necessario che ci rifacciamo, nella composizione artistica e nella sua fruizione, a “l’antico che è base, fondamento, solidità… che è stato messo da parte dalle esuberanze moderne… cui si dovrà ritornare presto o tardi infallibilmente”.

Per quanto generazioni ancora, invece, i bambini saranno esposti in ogni luogo pubblico, dalle sale d’attesa agli scuolabus e nelle aule, dai supermercati alle frequenze radiotelevisive, a rumore e ritmi ossessivi? La città di Luciano Pavarotti e Mirella Freni, due firmatari della petizione dello Schiller Institute per il ritorno al La verdiano, che cosa intenderà finanziare alla voce “musica” o “cultura”, con questa iniziativa e con la vociferata “Music Valley” sotto il patrocinio regionale? Che cosa intende davvero per “musica” il MIUR, che si fregia di aver predisposto l’introduzione della stessa anche nelle scuole d’infanzia ed elementari?

Cantoria di Luca della Robbia: rappresentazione delle impostazioni richieste dal belcanto

Se la cittadinanza continuerà a sentire come estraneo il “mondo delle idee” e ad avere paura di sfidare la vox populi, accadrà qualcosa di simile a quanto Amleto dice della paura della morte:

“il paese inesplorato dalla cui frontiera
nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà
e ci fa sopportare i mali che abbiamo
piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti?
Così la coscienza ci rende tutti codardi,
e così il colore naturale della risolutezza
si scolora al pallido riflesso del pensiero del pensiero,
e imprese di grande altezza e impulso
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione”.

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